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Lettera Decima | 61 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Dieci lettere di Publio Virgilio Marone.djvu{{padleft:68|3|0]]
Ai Legislatori della nuova Arcadia P. Virgilio Marone; Salute.
FUrono affisse più copie della Riforma qua e là negli Elisj pe’ vari boschetti a’ Poeti Italiani assegnati. I più antichi e più illustri di loro soffrirono in pace il giudizio severo intorno a loro fatto da noi; ma gli altri ne furono molto scontenti. Color soprattutto, che se ne videro esclusi, e neppur vi trovarono il nome loro, gran lamenti ne fecero, ed avrebbon più tosto voluto sostenere le critiche, purché vi fossero nominati. Non è cosa più grave a un Poeta quanto il vedersi dimenticato. Vi furon tra gli altri i Settecentisti, che sel recarono a offesa. Ma noi li femmo avvertire, che il tempo esser deve il giudice primo dell’opere, e delle poetiche cose principalmente; esser eglino ancor troppo giovani; vivere i loro amici, i loro Concittadini, i Coaccademici loro, e quindi al secolo susseguente doversene riserbar il giudicio, perché potesse riuscire sincero, e libero veramente. Or vedendo la turbazione, che mostravano tutte quell’ombre del torto lor fatto, e parendo male ad alcuno, che tante rime, e fatiche dovessero andare in perdizione, il Fracastoro, che sà talora opportunamente scherzare, io, disse, siccome Medico, il carico prendo di non lasciar perire tanta ricchezza. I Medici e gli Speziali d’Italia si lagnano di veder l’arti lor decadute, ed han