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Lettera Decima | 63 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Dieci lettere di Publio Virgilio Marone.djvu{{padleft:70|3|0]]un’arte necessaria al pari dell’altre. Già per la Poesia non erano certamente.
Dopo che gli uditori ebbero alquanto al pensiero sorriso, e fatto plauso del Fracastoro, soggiunsero infine doversi con certe leggi dar forza alla nuova promulgazione della Riforma, perche quella non gioverebbe, se rimanessero ancora gli abusi introdotti in ogni parte d’Italia.
A toglier questi pertanto stabilirono alcune regole per gli studj, e per la letteratura Italiana universale; e diedero a queste espresso consenso Dante, Petrarca, Ariosto, e gli altri primarj insieme co’ Greci, e Latini. Voi le troverete al fine di questa mia lettera.
Frattanto, Arcadi illustri, io vi prego e scongiuro, per la comune carità della Patria, e della Poetica, che vogliate con l’autorità del vostro gravissimo tribunale dar forza a queste leggi, e promovere fermamente la integrità, e la gloria dell’italica Poesia, che in voi tutta s’appoggia, e spera. Incitate e ravvivate tante anime copiatrici, e servili; imponete silenzio a tante altre gelate, insensibili, e morte ad ogni pittorica Scena, ad ogni immagine splendida, ad ogni nobile, e ardente affetto, ad ogni nuova felice ardita finzione; dannate infine, e flagellate tanti abusi funesti, che tutta guastano la bellezza della vostra lingua, e degl’ingegni nati tra voi a gran cose. Siete pur Voi Mallevadori ed Arbitri del Buongusto in Roma, Voi dittatori del Parnaso Italiano, Voi che per instituto provveder dovete, che la Repubblica delle lettere detrimento alcuno non prenda, e bandir, come veri Romani, ed arruolare, ed in campo mostrarvi, qual facevasi anticamente al sorgere guerra più minacciosa, che col nome chiamavasi di Gallico Tumulto. Voi dunque rendete utile il