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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Dopo il divorzio.djvu{{padleft:134|3|0]] curiosi di sapere; ma egli stese le mani avanti, facendo atto di respingerli e disse:
— Io so nulla. Lasciatemi stare.
Fino alle nove, — disse il Bellini, — Costantino aveva lavorato con loro: poi un guardiano era venuto a prenderlo, non si sapeva perchè: egli s’era alzato di botto, con gli occhi spalancati, pallido; aveva seguìto il guardiano e non era più tornato.
Per quanto visse, Costantino ricordò quel giorno. Era una mattina calda, annuvolata, e l’ombra delle nubi pareva gravasse sulla camerata dei calzolai, gettando fino alla metà delle pareti una cupa penombra. I condannati emergevano lividi da quella penombra, coi grembiuli di cuojo puzzolenti; ed erano di cattivo umore.
Uno di essi, che aveva paura dei morti, raccontava che nel suo paese si vedevano, nelle notti scure, correre entro l’acqua del fiume lunghi fantasmi liquidi e biancastri, e chiedeva al Bellini se egli ne avesse visti mai.
— Mi no! Io non credo a queste stupidaggini!
— Ah, tu le chiami stupidaggini? — disse l’altro con voce monotona, guardando entro la scarpa che lavorava.
Un altro disse, piano, lavorando:
— Testa di montone...
Allora quello che credeva ai morti sollevò il viso e s’arrabbiò, offeso; ma l’altro protestò.
— Oh che non posso parlare fra di me? Posso dire: testa di montone, testa di vitello, testa di cane... Chi ti cerca? Non posso parlare con la scarpa?