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Ad un tratto s’aprì la porta, nel cui vano apparve un lembo di notte marzolina, chiara ma velata, e Giacobbe Dejas venne a sedersi silenzioso accanto al fuoco.
La cucina del pescatore pareva un quadretto fiammingo dalle figure nitide nella luce rossa che profilava gli oggetti lasciando neri gli sfondi: e in quegli sfondi neri si scorgeva una tela di ragno, cinerea, col ragno nel mezzo; nell’angolo del focolare un’ampolla di vetro colma d’acqua fino al collo, con le sanguisughe nere nuotanti; un cestino giallo appeso al muro, e poi le figure dei due uomini addolorati e la corda di pelo nero sfrangiata fra le dita scarne e rossastre del vecchio pescatore.
— Ed ora come si fa? — chiese Giacobbe.
— Come si fa? Come si fa? — ripetè l’altro. — Io non lo so.
— Hanno fatto le pubblicazioni — riprese Giacobbe, e pareva parlasse a sè stesso — ma, è tutto fatto, proprio tutto! L’ubriacone oggi non è venuto neppure all’ovile: ed io pure son ritornato in paese. Ebbene, che gliele rubino pure le pecore, io me ne infischio assai. Sono venuto: bisogna fare qualche cosa, Isidoro Pane. Ehi, Isidoro Pane, lasciate la vostra corda ed ascoltatemi. Bisogna... fare... qualche cosa... Avete inteso?
— Ho inteso. Che possiamo fare? Abbiamo fatto tutto ciò che potevamo fare. Abbiamo gridato, pregato, minacciato. Si è intromesso il Sindaco, il segretario, prete Elias.
— Bello quel prete Elias! Che ha fatto lui? Ha