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— Stanotte pioverà, — ripetè la madre.
— Lasciate che piova, dunque.
— Brontu tornerà?
— Sì, tornerà; e stasera glielo voglio dire; ah, sì, glielo voglio dire.
— Che gli vuoi dire tu, anima mia?
— Gli voglio dire che non ne posso più, che se mi ha preso per fargli la serva e null’altro, si è ingannato, e che... e che...
— Tu non gli dirai niente! — disse con energia la vecchia. — Lascialo in pace; anch’egli lavora, anch’egli vive come un servo; perchè vuoi tormentarlo? Egli potrebbe cacciarti via, sposar in chiesa un’altra donna...
Giovanna tremò di spasimo, si raddolcì, le vennero le lagrime agli occhi.
— Egli non è cattivo, — disse, — ma si ubbriaca sempre, puzza d’acquavite come un lambicco, e mi rivolta lo stomaco. E poi si arrabbia senza ragione. Ah, è schifoso, è veramente schifoso. Ebbene, sì, era meglio... ah, era...
— Ebbene, cosa era meglio? — gridò fieramente zia Bachisia.
— Niente.
Sempre così. Giovanna ricordava Costantino, così buono, bello, pulito e gentile, e rimpiangeva il passato. Una tristezza profonda, più amara della morte, le avvolgeva l’anima: e il pensiero della maternità non leniva, anzi accresceva mostruosamente il suo dolore.
La sera calava, grave e grigia come una visione