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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Dopo il divorzio.djvu{{padleft:179|3|0]] noci, allora. Speriamo che Brontu torni presto. Che faremo da cena, Giovanna?
— Ciò che volete.
— Tu stai lì? Non ti farà male? Forse ti farà male.
— Che volete che mi faccia?
— L’aria della sera è sempre nociva. È meglio star dentro; così, intanto preparerai da cena. Ci son delle uova, figliuola mia, uova con pomi d’oro. Ebbene, preparale per te e per tuo marito; io non ho appetito. Ah, davvero, — proseguì, rivolta a zia Bachisia, — non ho appetito, tutti questi giorni. È il tempo, forse.
— È il diavolo che ti fora la schiena: è l’avarizia che non ti permette di mangiare, — pensò l’altra. Giovanna taceva e non si muoveva, assorta in un cupo sogno.
— Domani avremo il panegirico, dunque, alle undici: è un’ora incomoda, in verità. Ci andrai tu, Giovanna? Gli altri anni lo facevano alle dieci.
— Io non andrò, — rispose Giovanna con voce monotona. Ella, ora, si vergognava di andare in chiesa.
— Sì, a quell’ora fa assai caldo; è meglio che tu non vada. Ma, se non mi inganno, piove, — disse poi zia Martina, e tese la mano. Una grossa goccia d’acqua sporca cadde e si sparse sui peli del dorso livido della sua mano. Tic, tic, tic, altre goccie caddero sul mandorlo immobile e per terra, scavando piccole buche sulla rena dello spiazzo. Nello stesso tempo il cielo parve rischiararsi, mandando una luce giallognola: sullo sfondo delle nuvole