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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Dopo il divorzio.djvu{{padleft:221|3|0]] Rimase seduto, curvo in avanti, pensoso, passandosi la mano sana sul braccio malato.
— Sì, — disse ad un tratto, con la voce ansante e lamentosa dei febbricitanti — brutto sogno, ho fatto. Che caldo, San Costantino bello! Un caldo da forca. Ho sognato l’inferno.
— Che idee! che idee! che idee! — disse la sorella con rimprovero.
E zio Isidoro scherzoso:
— E c’era caldo, uccellino di primavera?
Il malato s’irritò alquanto:
— Non burlare, non dire più «uccellino di primavera». Mi fai arrabbiare. Io non lo dirò più, io non mi burlerò più di nessuno. Ascoltatemi, — disse poi, sempre a capo chino, palpandosi il braccio. — L’inferno è una brutta cosa. Io devo morire, e devo dirvi una cosa. Ecco, non spaventarti, Anna-Rosa, tanto io devo morire. E voi lo sapete già, zio Isidoro, quindi ve lo posso dire. Ecco, sono io che ho ammazzato Basile Ledda.
Zia Anna-Rosa spalancò gli occhi, spalancò la bocca, appoggiò il petto al letto e cominciò a tremare convulsivamente.
— Io non sapevo niente! — gridò Isidoro.
Allora Giacobbe sollevò il viso spaventato e cominciò anch’egli a tremare.
— Non mi farete arrestare? — disse, supplichevole. — Tanto io morirò. Lo direte poi? Io credevo che lo sapeste! Che cosa hai, Anna Rò? Non aver paura, non mi farà arrestare.