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La ragazza arrossì e chinò gli occhi; zia Bachisia sporse il muso, scandolezzata perchè lo studente pensava a tutt’altro che alla storia da lei narrata, e perchè gli ospiti tutti facevano poco caso della disgrazia di Costantino. D’altronde anche Giovanna sembrava dimenticare, e solo quando zia Porredda le ebbe messo davanti una enorme porzione di maccheroni rosei fragranti di sugo, la giovine si rifece scura in volto e rifiutò di mangiare.
— Ve l’avevo detto io! — esclamò zia Porredda, meravigliata. — Essa è matta, in verità mia è matta! Perchè non mangiare ora? Che c’entra il mangiare, ora, con la sentenza di domani?
— Via, — disse zia Bachisia, non senza un po’ d’acredine, — non far sciocchezze; non disturbar la gioia di questa brava gente.
E zio Efes Maria si mise signorilmente il tovagliuolo sotto il mento, e sputò la sua sentenza letteraria.
— Cuor forte contro la sorte, dice Dante Alighieri. Via, Giovanna Era, dimostra che tu sei un fiore delle montagne, più forte delle pietre. Il tempo appianerà ogni cosa.
Giovanna cominciò a mangiare, ma con un singhiozzo in gola che le impediva d’ingoiare le vivande.
Paolo stava zitto, curvo sul suo piatto: e questo era già pulito quando Giovanna arrivò a ingoiare il primo maccherone.
— Sei un vento, figlio mio, — disse zia Porredda. — Che fame da cane hai tu! Ne vuoi altri? Sì; e altri ancora? Sì?