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— Io me ne andrò, — diceva al pescatore, nella quiete infinita dell’altipiano, chiusa dagli sfondi dell’orizzonte d’un azzurro-carnicino, sui quali i selvaggi boschi di corbezzoli sorgevano come una nuvola verde. — Io ho scritto al mio amico Burrai. Egli può tutto, sapete: se anche fossi stato colpevole, egli mi avrebbe fatto graziare dal re.
— Questo me lo hai già detto, — rispose un giorno Isidoro, mentre stava con le vecchie gambe scarne e pelose entro l’acqua giallastra. — Ora sono seccato di sentirtelo ripetere; ma intanto colui non ti risponde.
— Egli cercherà il posto per me. Sì, me ne andrò. Ma ditemi la verità, perchè il prete vuole che me ne vada? Ha paura che io ammazzi Brontu Dejas?
— Sì, per ciò appunto.
— No, non è per questo. Io gli dissi: prete Elias, lei capisce che se avessi voluto ammazzare qualcuno l’avrei fatto subito. Ed egli ripete sempre: Vattene, vattene, è meglio. — Che cosa dite voi, zio pescatore: devo andarmene o no?
— Io non so niente, — disse l’altro con rimprovero. — Ciò che so è che tu sembri un cane accidioso. Perchè non lavori, dimmi, perchè pensi a questo tuo Burrai, cattiva lana, il quale, d’altronde, non pensa a te?
— Ah, egli non pensa a me? — disse Costantino offeso. — Ecco che io vi farò vedere se egli pensa o no a me. Ecco qui!
Si alzò, trasse una lettera dalla tasca interna della giacca, e cominciò a decifrarla; era del Burrai, il