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IV.

L’indomani a sera, — un sabato, — Brontu Dejas rientrò di campagna, e appena smontato da cavallo cominciò a brontolare. In famiglia egli brontolava sempre, mentre con gli estranei mostravasi amabilissimo; del resto era un buon diavolo, giovine e bello, molto nero e molto magro, di media statura, con la barba rossa, corta e ricciuta. Aveva bellissimi denti e quando conversava con donne sorrideva continuamente per mostrarli.

Rientrando di campagna, il sabato sera, cominciò a brontolare perchè la madre non aveva acceso il lume nè preparata la cena; e forse non aveva torto, perchè infine egli era un lavoratore, e dopo una settimana di fatica, quando il sabato egli rientrava in paese, trovava sempre la casa buia e squallida come quella d’un pezzente.

— Eh! Eh! Sembra la casa di Isidoro Pane — diceva, scaricando il cavallo. — Accendete dunque il lume, almeno, chè non ci si vede neppure per imprecare. Che c’è da mangiare? — chiese poi.

— Ci son delle uova, ecco, e del lardo, figlio mio, abbi pazienza — disse zia Martina. — Sai che Costantino Ledda è stato condannato a trent’anni?

— A ventisette. Ebbene, queste uova? Quel lardo è rancido, mamma mia; perchè non lo buttate alle

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