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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Dopo il divorzio.djvu{{padleft:74|3|0]] lentemente infrante, gli comunicavano un continuo tremore di convulsione. Cammina e cammina, passarono lunghe ore di angoscia, ritornò la notte: il compagno dal viso giallo sottile si lamentava sempre, dando a Costantino una irritazione angosciosa. Finalmente egli potè assopirsi e, cosa strana, tornò a sognare lo stesso sogno della notte prima; però questa volta Giovanna era corrucciata, e la culla ondulava quasi dolcemente. Quando Costantino si svegliò, il piroscafo pareva muoversi appena; nel gran silenzio dell’ora antelucana udì una voce dire al di fuori:
— Quella è Procida...
Egli rabbrividì di freddo, e si domandò se lo conducevano a Procida, sembrandogli d’aver sentito dire che colà vi era la galera. Anche il compagno si svegliò, rabbrividì, sbadigliò lungamente.
— Siamo giunti? — domandò Costantino. — Come stai?
— Non c’è male! Siamo giunti?
— Non so: siamo vicini a Procida: c’è la galera là?
— No. È a Nisida. Ma noi non siamo galeotti! — disse l’altro con fierezza: poi tornò a sbadigliare.
— Oh, cosa sognavo... — aggiunse, ma non proseguì raccogliendosi nel ricordo del sogno; e Costantino non parlò oltre.
I condannati vennero sbarcati a Napoli, e chiusi subito in un carrozzone nero e giallo che sembrava un sepolcro ambulante.
Costantino ebbe appena la visione di un gran