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— No, — disse il condannato, con gli occhi bassi. — Ma vengo a chiederle una grazia.
— Qual grazia? Sentiamo.
Costantino rimase un momento col respiro sospeso, pauroso di quanto stava per chiedere; poi disse rapidamente:
— Ecco. Mandare la lauda al mio paese.
— Ah, — disse il cappellano. — Io non posso far ciò. D’altronde come potreste voi scrivere la lauda?
— Oh, io so scrivere! — esclamò il condannato, sollevando i limpidi occhi.
— Sì, ma non dico questo, fratello mio. A voi non è permesso di scrivere.
— Oh, io mi arrangerei in quanto a ciò...
— Bene, bene, ma io non posso.
Costantino prese un’aria desolata e per poco non si mise a piangere; poi si confessò, chiese se non era meglio intitolar la lauda ai Santi Pietro e Paolo, che erano stati carcerati, e chiese perdono al confessore se aveva osato fare quella tal domanda.
Il giovane cappellano diede l’assoluzione, e pregò a lungo ad alta voce, mentre il condannato pregava silenziosamente: poi si passò una mano sul capo e disse, piano, lentamente:
— Sentite. Scrivete pure la lauda, se vi riesce. E fate da bravo.
Un impeto di gioia assalì il condannato; e da quel momento egli non ebbe altro pensiero che di riuscire a scriver la lauda.
— Io ho studiato, — disse al guardiano, — ma