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ATTO V. SCENA II. 147

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Di tal morte morì che a voi piacente
Pur sarebbe. Non già preda di Marte
O di Nettuno ei fu; ma tenebrose
Regïoni l’accolsero con nuova
Specie di morte.
antigone.
 O sventurate noi!
Qual mai fatale tempestosa notte
Mi sta sugli occhi! In qual solinga terra,
Per quali errando andremo immensi mari
Con lunghi stenti a procacciar la vita?
ismene.
Nol so. Me pur l'insazïabil Orco
Così colpisse, che col vecchio padre
Morissi! che assai più che morte grave
Fia la vita che a vivere mi avanza.
coro.
O divine fanciulle, ancor che degne13
Di miglior sorte, pur sommessamente
Ciò che mandan gli Dei soffrire è forza,

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