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XXVII

All’aura

  Aura, che me d’intorno
in questo dì t’aggiri
e mi lambisci il viso,
sei forse alata nunzia
5d’un tenero sorriso?
Ti alimentaron tremula
i queruli sospiri?
Dalle nemiche offese
del gelo ti difese
10il tepidetto latte
d’acerbe poma intatte?
Col susurrare amabile
dei biondi vanni tuoi,
col vezzeggiarmi, garrula
15aura, da me che vuoi?
Se il caro fiato sei,
figlio del roseo labbro
dell’adorata Nice,
torna a scherzar felice
20nel tuo natio cinabro:
e, sacro ai voti miei,
per me seconda almeno
i curvi inquieti palpiti
del bipartito seno.

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