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XXV

L’amante deluso

(1786)

  Ove d’Isernia piú la selva è bruna,
per il notturno orrore,
al debol raggio dell’incerta luna
mi conduceva Amore.

  5Piú la notte rendean tetra e dolente
il mesto suon dell’onde,
dei venti il fischio e il mormorio frequente
dell’agitate fronde.

  — Fille, ove sei? — dicea, trovando spesso
10inciampo ai passi miei;
e una voce affannosa a me d’appresso
rispondeva: — Ove sei? —

  Presto, pietosa, a discoprir l’inganno
l’aurora in cielo apparve:
15arsi di sdegno, ma l’Amor tiranno
rise maligno e sparve.

  Così dall’ombre, invan placate, al giorno
tornato Orfeo, le meste
rifee campagne trascorrendo intorno
20e le pangee foreste,

  la perduta Euridice agli antri, all’onde
chiedea, sposo infelice,
e rispondeano le strimonie sponde:
— Euridice... Euridice...! —

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