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110 | ercole luigi morselli |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Favole per i Re d'oggi.djvu{{padleft:114|3|0]]E certi alti e sottili dire: — E noi siam nati per il fasciame delle fiancate!
Ma quando le carene furon ultimate e coperte e stavano lungo il seno tutto odorante di resine, trattenute come fantastici segugi al guinzaglio; allora i più belli, quelli che io amo come fratelli, quelli che avevano aspettato, sicuri, in silenzio, levarono anch’essi la voce dalle altissime teste scarmigliate e cantarono: — Eccovi all’ultima fatica, uomini! Forza con l’ascia: gettateci in terra! Mozzateci questa enorme chioma inutile, e piantateci là, nel mezzo dei nostri scafi, che sian come le nostre radici! Non queste cocciute e vili che non ci vollero seguire, ma sì quelle che sognammo per tanti anni, libere radici! che venivan con noi su per le onde verdi, verso l’ignoto!...
E andarono così, finalmente, come avevan sognato, i miei cari fratelli, tenendo tese le quadrate vele, al buon vento: uscirono del Nostro mare, là nel mar Grande, e lo corsero tutto per sereni e per burrasche, sentirono i freddi brividi dell’abisso, risuonarono come arpe sotto la furia dei venti, videro le terre e i fiumi sognati, più belli ancora che nei sogni, videro l’eterno penare degli uomini incapaci d’amarsi, videro videro....
Ma andate per gl’intricati porti dei grandi mercati del mondo, e vedrete che mentre gli uomini arcigni intenti a trafficare non guardano in alto, gli alberi delle navi ormeggiate non dicon più nulla. Si son fatti taciturni; ma scuotono con gran mestizia le loro teste.
Che ripensino alle loro vecchie radici?