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favole per i re d’oggi | 61 |
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XXVIII.
Sembrava che il vento fosse morto; perchè la nave stracarica stava da cinque giorni sulla Linea dell’Equatore, ferma come una casa.
Il Sole calava e io scrivevo da poppa. Ogni tantino ci guardavamo, io e il sole, da vecchi amici, senza dirci nulla. Quand’ecco m’avvidi d’un seppione a fior d’acqua che mi guardava fisso.
— Come va la vita? — gli chiesi, tanto per non essere mai scortese con nessuno.
— Oh! — mi rispose — M’annoio mortalmente!
— Perchè non scrivi anche tu, — gli dissi ridendo: — il calamaio ce l’hai. Ma il seppione non rise affatto e mi rispose con molta gravità: — Sto appunto guardando come tu fai per imparare.
Ora ho capito! — gridò a un tratto: — Che cosa facile scrivere! Invece di buttar fuori tutto l’inchiostro insieme come son solito far io, basta buttarlo poco per volta. Non è forse vero?
Verissimo! — dissi io.
E quello non se lo fece dir due volte. Subito si diede a schizzare torno torno, a goccia a goccia, tutto il suo inchiostro, soddisfattissimo d’aver così presto imparato a scrivere.