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116 il fiasco del maestro chieco

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III.


Il castello era un vero eremo. Neppure l’albergatrice si lasciò vedere, e fu la serva che m’introdusse nel camerone bianco dove giaceva, sul cuscino di un letto colossale, il mefistofelico viso del mio povero amico Chieco. Me gli accostai in punta di piedi. Aveva gli occhi chiusi, ma la fisonomia era composta. Dormiva? Mi arrischiai di dirgli piano all’orecchio:

— Lazzaro!

Mi rispose con un fil di voce:

— Chi è?

— Cesare — susurrai — sono Cesare. — Allora Chieco, senza aprir gli occhi, sbattè la bocca come un cane che az-

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