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ATTO UNICO - SCENA II. 181

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Ah! tu non le conosci queste cose, tu ignori
Il pericolo, immerso come sei nei candori!
Ma io ti posso salvare, io che or or ti dovetti
Negar ciò che non negasi nemmeno ai poveretti.
Un asilo. Che mai! Tu, dei boschi l’amico,
Tu che possi allettando gli echi dell’antro aprico,
Gareggiando col passero, la nube e la sorgente,
Che serbi intatta l’anima, e hai la vita innocente.
Che canti al par dei vispi augelletti del cielo.
Tu che mai di una colpa non conoscesti il velo,
Ta, colla vaga faccia di rugiada irrorata.
Tu anderesti alla casa funesta e disprezzata?...
Entreresti... oh! sciagura!... come il sol mattutino
Nella sala ove appena è finito il festino?
E le pure tue labbra, fanciullo, insozzeresti
Alla insipida coppa del vizio, e accetteresti
I loculenti avanzi, e sarian prostituti
Dagli sguardi che l’orgia fece squallidi e muti,
Nella ipocrita gioia, nel lezzo e nel disdoro,
I tuoi grandi occhi azzurri e la tua chioma d’oro?
Tu dalla Silvia?... Oh! no, tu non lo puoi! Pagare
Cantando una canzone l’asilo e il desinare
È bello... ma pur giova conoscer bene il tetto
E il pan che si divide... Perdona, o giovinetto,
Severamente quasi ti favello, e... gran Dio!
Chi d’uopo ha d’indulgenza, e di pietà son io...

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