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i tre amanti di bella 37

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Nè un pensier, nè una lagrima, nè un fiorellin soltanto
Avea, passando a caso, gettato in camposanto.
Fatto il vuoto, divise l’aule immense e i saloni,
Come se li allestisse per nidi di piccioni,
In camerette anguste, in stanzuccie pigmee;
Lamentandosi molto che Bacchi e Citeree
E Silfidi ed Amori, sulle volte dipinti,
Non si potesser vendere perchè alla calce avvinti.
Si vendicò, tagliandoli coi muri a centellini,
E dandone una parte a tutti gli inquilini.
E qui vedi una Venere che ha la bella sembianza,
Le braccia e il seno eburneo nella vicina stanza;
Qui il piè di una baccante e là sbuca una cetra,
Poi del fanciul terribile un piede e la faretra,
Poi Giunone che al laccio della parete appresa
Ha l’ala azzurra e piangere ti sembra dell’offesa.
Un tal del primo piano cui toccò in sorte parte
Di un’imagine nuda che non vo’ porre in carte,
Lagnossi al proprietario e voleva andar via;
L’Ebreo gli rispondeva: questa è un’allegoria,
L’ha pinta il Tintoretto, è un egregio disegno, —
E l’altro a replicargli: fu un pittoraccio indegno! —
Più di una vecchia cabale astruse avea cavate
Numerando le membra sul capo suo librate,

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