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62 | FINGAL |
OSSERVAZIONI AL CANTO TERZO
(1) Giudiziosamente, dice il traduttore inglese, viene introdotta la storia d’Aganadeca, perchè grand’uso ne vien fatto nel restante del poema e perchè in gran parte ne produce la catastrofe. Con tutto ciò parmi che questo episodio avrebbe potuto inserirsi molto più opportunamente sul fine del canto dopo la venuta di Fingal, e che sarebbe stato meglio in bocca di Ullino che di Carilo. Ivi il progresso dell’azione, e l’interesse di Fingal la chiamava naturalmente, anzi la rendea necessaria: laddove qui non sembra che un abbellimento senza disegno, e senza conseguenza; e la sua singolar bellezza, perchè non è precisamente a suo luogo, non fa tutto l’effetto che ella potrebbe.
(2) La fredda amarezza di queste parole è più terribile di qualunque dimostrazion di furore. Le passioni determinate prendono un’aria di sedatezza atroce, che non lascia luogo alla speranza.
(3) Conal era stato vivamente punto da Calmar nel consiglio di guerra. Ma l’animo grande di Conal non se ne rammenta, o si vendica con un tratto d’amicizia e di politezza.
(4) Il parlar per sentenze universali ed astratto è proprio dei filosofi, e degli oziosi ragionatori. Gli uomini rozzi ed appassionati singolarizzano, e parlano per sentimenti. Se questa è la qualità più essenziale del vero linguaggio poetico, come vuole il Vico, Ossian è ’l più gran poeta d’ogni altro. Non ve n’ha alcun più ricco di sentimenti, e più scarso di sentenze di lui. La presente è forse l’unica che s’incontri in tutte le sue poesie. Del resto, la sentenza di Calmar sembra assai particolare in bocca d’un uomo che per frutto del suo coraggio avea riportata una ferita mortale. Bisogna che costui non computasse tra i pericoli la morte.
(5) La vittoria di Fingal è dunque certa. Il suo valore maggior d’ogni altro non ammette dubbi. Questo sentimento è d’un gran peso, specialmente in bocca d’un uomo del carattere di Calmar.
(6) La morte di quest’eroe non corrisponde molto alla nostra aspettazione. Dopo l’alta idea che il poeta ci avea fatto concepire del suo valore, s’era in diritto d’attenderne dei prodigi, e di esiger da lui un genere di morte