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discorso quarto 271

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IX. La passione, elemento della poesia, al pari della meraviglia, si trasfonde in noi, or dilicatamente, or generosamente, da questi versi. Affetti dilicati sono quelli che derivano dallo amore, dalla caritá figliale e fraterna, dalla commiserazione, dal timore, da tutte insomma le molli passioni, comuni a tutte le umane condizioni. Questo poemetto n’è pieno: e piú che mai, quando Berenice abbandonata sacrifica spesse volte agli dèi, ed, obbliando il suo magnanimo cuore, si strugge per la sollecitudine della battaglia, e vive trafitta dal desiderio dello sposo e del fratello. E que’ lamenti sono artificiosamente e con un certo soave furore interrotti dalla narrazione dei sacrifici, e le narrazioni interrotte dal pianto della giovinetta, finché poi scoppiano le passioni generose da quel verso

   ... Is haut in tempore longo
  captam Asiam Aegypti finibus addiderat:

perocché la conquista della Siria e l’augurio di maggiori vittorie nell’Asia doveano lusingare l’ambizione di Tolomeo, il valore degli eserciti, i cortigiani ed il popolo. E torna il suono di questa corda nell’episodio del monte Athos, scavato per invadere la Grecia da Serse, re de’ persiani, domi poi da Alessandro, il quale gloriavasi di avere vendicati i greci. La quale gloria ridonda a’ re d’Egitto, successori di Tolomeo Lago, commilitoni del macedone e greco egli pure. Ma queste generose passioni sono in tutti i tempi sentite da pochi; e meno, ove non si tratti di popoli liberi e di storie patrie e vicine a noi. Da questo principio emerge la ragione, per cui non comprendiamo la grandezza di Pindaro, che cantava in encomio de’ particolari cittadini i fasti d’intere tribú e di paesi. Quegli antichi, per lodare i privati, encomiavano le patrie; noi abbiamo necessitá di disseppellire le virtú di qualche privato per potere onorare di alcun giusto elogio le nostre cittá.


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