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Fascio Secondo. 153

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Pur che in Ciel Palatino Astro eminente
  L’inalzasse à goder sorte tranquilla,
  L’infamie prenderia per Ascendente.
Non cura in mar di Corte urti di Scilla
  Soffre, simula, inganna: è in conclusione
  Manto ha di Curio, e fodere di Silla.

Momarte.


M’arde il fegato sì, m’ansa il polmone
  Per rabbia tal, che s’altri colpi tiri,
  La vitrea bile mia frango in balcone.

Ticleue.


In quel Carro dorato io vò, che miri,
  Se vuoi, che ’l cor nel suo rabbioso duolo
  Per diffetti minor manco s’adiri.
Siede colà certo patritio stuolo
  Il qual somiglia un nuovo Libro impresso
  Ch’altro non ha di buon, che ‘l Titol solo.
Tutti son Cavalier; mà ti confesso,
  Che tutti han del Tosone: anzi ti dico,
  Che del sangue l’honor, sangue è di Nesso
Quando parlano altrui, sempre un antico
  Fregio di Nobiltà dando à Casate,
  Vanton sangue Cecropio, ò quel di Pico,
Pretendino man dritte, e sberettate,
  Perc’hebber gli Avi lor pompe latine,
  E qual Asin Cumano alzan ragghiate
I pregi lor son come quercie alpine,
  Che pur hebber da Giove alte honoranze,
  Mà sono i frutti poi ghiande porcine.
Non san parlar di praticate usanze,
  Non hà l’ingegno lor letterature,
  Non han senno, valor, non han creanze.

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