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Fascio Secondo. 183

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Nè tanti Corvi hanno i German Febrai
  Nè là frà gl’Indi in tanta copia stanno
  Remora de’ Navilij, i Baccalai.
Quante carche di seta, ò rozzo panno
  Manda à noi nel meriggio, e ne la sera
  Flotte di Mattutin l’India de l’Anno.
Matto al lume son io, matto a la cera:
  Ma quanti esser dicean Bellerofonte,
  Che poi la testa lor tutta è Chimera?
De l’humane stoltezze il primo Fonte
  Vò che tù, Musa mia, con l’indovina
  Facondia di Cassandra, altrui racconte.
Nè star a dir, ch’ad esser matto inclina
  Ciascun; perchè ciascun figlio è del Sole
  C’ha l’origini sue da una Mattina.
Altro saper, ch’equivoci vi vuole,
  L’ingegno tuo, ch’anco ne’ Ciel penetra
  Più fondata Ragion tolga a le Scole.
Di Iapeto il figliuol, che Geometra,
  fù del fango humanato, e a dargli vita
  Fe’ del natio color furto ne l’Etra.
Perche Natura ancor, ch’a senno unita,
  Ne gli affetti comun Bestie pareggia,
  Fe’ con l’esempio suo l’opra fornita.
Far vuole un Rè, che di ragion la Reggia
  Quasi Bruto abbandoni; e con rapine
  Segreto appaia ingoiator di Greggia.
E vicino a l’Ovile, in cui ferine,
  L’orme talvolta un Licaone imprime
  L’arti ritrae d’inclination Lupine.
Far vuole un huom, che con dentate rime,
  Perche dorme il Pastor, latra à chi fura
  E d’accorto Mastin gl’empiti esprime:

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