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Fascio Terzo. 265

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Corta vista havean ambi; e haveano ancora
  I fessi occhiali lor vista non sana;
  Onde Giostra gentil vedeasi à l’hora,
  Che la Vecchia cucia la sua Sottana,
  Ne la cruna d’un Ago un quarto d’hora
  Con la Lancia d’un fil correa Quintana
  E se reggea dritta visiera il Naso,
  Erano al fin l’imbroccatore il Caso.

Quando Bauci prendea, per far attorte
  Le sputacchiate Canapi, la Rocca,
  Colei parea, che lunghe vite, ò corte
  Fila, ò tronca al Mortal, quando gli tocca
  E ben ver, che la Parca hà in man la Morte,
  E haver Bauci parea la Morte in bocca,
  E di nero cammin presso al calore,
  Filar solea le corte vite à l’hore.

Hor quivi appunto, ove Innocenza hà sede
  Smontar fero gli Dei la sua molestia,
  Smontar, diss’io: perche non giano à piede,
  Dei, che per ira eran saliti in bestia.
  Qui Ser Giove il buon giorno à i Vecchi diede,
  A la moda, con modo, e con modestia,
  E mostrarono assisi in un istante
  Mendicata stanchezza, e mendicante.

Perche spesso cantar Mercurio suole,
  Com’uso è de’ pezzenti, una canzone,
  Certa Lira, ch’à seco, e fù sua prole,
  Stacca tosto dal fianco, e in man si pone,

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