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Fascio Terzo. 269

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  Al fin quesiti fecero parecchi
  A la Coppia Consorte i Pellegrini,
  Poi Filemon lo stato suo descrisse
  Con confusa eloquenza, e così disse.

I
N questo Albergo, ove mi trasse il Fato,

  Del mio giorno vital godo il sereno;
  E se vivendo huom fù giamai beato,
  Qual custode d’Elisio i giorni meno,
  Non fan tributi misero il mio stato,
  Non fan pensieri lacero il mio seno,
  Le Reggie sprezzo, e sol vedermi curo
  Cittadino di Ciel, pria che di muro.
Tempo già fù quand’è l’Huom meno accorto,
  Che di mia libertà cangiai lo stato;
  E fui nel mar de le Speranze assorto,
  E fui palco d’Ambitione al fiato;
  Hor che ne’ flutti miei trovato hò ’l porto,
  Lascio à tumide Turbe il mar turbato;
  E godo io qui, come il veder soave
  Sopra lido sicur naufraga Nave.
Qui di rozzo confin son Rege anch’io;
  Forma la Reggia mia sterpo selvaggio,
  Inostrano le Rose il manto mio;
  M’indora il suolo il mattutino raggio,
  Tapeto è l’herba, ove s’imperla il Rio,
  È Trono un Monte, ove dà scetro il Faggio,
  Son mie corone i fior, Bauci è compagna,
  Tributario un Monton, tributo un’Agna.

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