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Fascio Primo. 81

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S
On chiamato alla Guerra, & ecco porto,

  Pria ch’io giunga a ferire, una ferita;
  L’Alma pria d’ammazzare è fuoruscita
  E pria d’immortalar, faccia hò di morto.
Io non son huom di spirito sì grosso,
  Che pensi un dì, frà gl’impeti di Marte,
  Trar la pelle a nemici, e farne carte,
  Far inchiostro di sangue, e penna d’osso.
Tuon di Bombarda, e fulmine di spada
  Gelar farà ne la mia vena il sangue,
  Forz’è che ’l verso ancor languido cada
Nè avverrà mai, che ’l Martial lavoro
  Gioviale Poesia mi faccia fare;
  Anzi sempre farà l’intercalare
  De la mia Canzonetta. Ohimè, ch’io moro.
De’ bronzi i Tuoni, e de le spade i Lampi
  Cantan le Muse entro Castalie mura
  Che sol conviensi à Femine la cura
  Di domestico tetto, e non di Campi.
Aman quiete i versi, in solitari
  Boschi il dì Filomena erge i suoi canti:
  E stansi muti i popoli guizzanti,
  Perch’è sua cuna il fremito de’ mari.
E ver, se il braccio mio gl’huomini atterra,
  Che le Lettere, e l’Armi havran tenzone
  Ma sento dir, che simile questione
  Si decide alle Scole, e non in Guerra.
Da i perigli guerrier fuggir lontano
  Sempre fui vago, e di combatter schivo;
  Perché i miei versi, in cui versato io vivo
  Son formati di piede, e non di mano.

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