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non deve essere che accennata, è la manìa di fare della corrente sotterranea di un’opera, la corrente visibile e superiore, che cambia in prosa, ed in prosa della specie la più volgare, la pretesa poesia dei sedicenti trascendentalisti.

Sicuro di queste mie opinioni, aggiunsi le due stanze che chiudono il poema.

La loro natura suggestiva è destinata a penetrare tutto il racconto che precede.

Il filo sotterraneo del pensiero si lascia scorgere per la prima volta in questi versi:


  Strappa il becco dal mio cuore, abbandona quella porta
  Mormorò l’augel: Mai più!

Si noterà che le parole «dal mio cuore», racchiudono la prima espressione metaforica del poema.

Queste parole colla risposta mai più, dispongono la mente a cercare un senso morale in tutto il racconto sviluppato anteriormente.

Il lettore comincia a considerare il corvo come emblematico; ma non è poi che all’ultimo verso dell’ultima strofa che gli è permesso di vedere distintamente l’intenzione di fare del corvo il simbolo del Ricordo funebre ed imperituro:


  E la bestia ognor proterva, tetra ognora, è sempre assorta
  sulla pallida Minerva, proprio sopra alla mia porta.
  Il suo sguardo sembra il guardo d’un Dimon che sogni, e giù
  sui tappeti, il suo riflesso tesse un circolo maliardo;
  e il mio spirto stretto all’ombra di quel circolo maliardo
  Non potrà surger mai più!

E. R.

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