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in una morte estatica; cadea
sul volto delle rose che spiegate
aulivano e languivano ammaliate
dal tuo sguardo, dal tuo sguardo di dea.
Là ti vid’io seduta, tutta in bianco,
mentre cadea la luna sulle cose
tutte e sul volto assorto delle rose
e sovra il tuo, composto in atto stanco!
Oh! a que’ viali, laggiù, in su quella mezza
notte di luglio non fu già un destino
arcano che mi trasse al tuo giardino
a respirare l’intima dolcezza
di quelle rose addormentate? Oh aiuole!
niun suon! tutto era immerso nel sopore,
tutto, salvo me e te (ciel, come il cuore
mi trema ancora a queste due parole:
«salvo me e te»). Ristetti, ti guardai
e ogni cosa disparve in quel momento
(certo, qualche divino incantamento
mi traeva a quel parco), ti guardai,
e i fior, l’acque, le piante gaudiose
più non furono, e l’erba si fe’ bruna,
e la luce di perla della luna
si spense... l’odor stesso delle rose