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  le campane così rotte
  ci singhiozzano il memento!
  E ogni voce che s’invola
  dal metallo che hanno in gola
  è un lamento!
  E i lontani, ohimè, i lontani
  campanari,
  che, appiattati a lume spento
  sugli arcani
  campanili solitari,
  dànno al vento
  simil voce,
  provan certo qualche atroce
  compiacenza a premer, tetri,
  sovra il cuor di tanti oppressi
  su quel metro lutulento!
  Ma gli ossessi — quegli ossessi! —
  non son donne! non son uomini!
  Niun li cerchi! niun li nomini!
  Sono spetri!
  Ed è il re, il re lor, che volle,
  volle — il folle! —
  intonare in così strane
  rime il suon delle campane!
  e cantarsi per diana
  (accentando il métro — l’unico
  métro — sovra un ritmo runico)
  quel peana!
  quel peana di campane!
  È il re loro che vaneggia,
  che si dondola, folleggia

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