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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gazzetta Musicale di Milano, 1842.djvu{{padleft:36|3|0]]l’espressione, ed il ritmo la cosa va ben altrimenti. Venuta molto più tardi la volta d’essere presi ad esame, respinti, accettati, inceppati, sciolti d’ogni vincolo ed usati senza regola, non poterono sinora aver tocco il punto al quale prima di essi arrivarono gli altri rami dell'arte. Diremo solo che l’istromentazione procede innanzi per la prima; ella corre ora lo stadio dell'esagerazione. Ci vuol del tempo non poco per scoprire i mediterranei musicali, e moltissimo poi ce ne vuole ad imparare a navigar per essi! Nell’aspettativa che sorga il giorno, forse poco lontano, in cui l'arte di strumentare giunga alla normale sua floridezza, spendiamovi intorno alcune parole. Ogni corpo sonoro adoperato dal compositore è uno stromento di musica: però ecco la divisione dei si può disporre al presente.

Pizzicati.

Arpa, chitarra, mandolino, liuto.

Stromenti da corda.

A percussione con martelletti (il pianoforte), posti in vibrazione con archetti (violino, viola, violoncello, contrabasso, viola d’amore).

Stromenti da fiato.

A linguetta (oboe, corno inglese, fagotto, contro-fagotto, clarinetto, corno bassetto). Senza linguetta (flauto grande e piccolo (1), flagioletto). A imboccatura e di ottone (corno, tromba, cornetta, trombone, offlcleide). L’organo. La voce d’uomo, di donna, di fanciullo, di musico.

Stromenti a percussione.

D’una tonalità fissa e percepibile (i timpani, le campane). D’una tonalità impercepibile e non producente che dei romori diversi caratteristici (il tamburo militare, la gran cassa, i cimbali, il triangolo, tam tam, pavillons chinois). L’applicazione di questi diversi elementi sonori, sia per dar colorito alla melodia, all’armonia, al ritmo, sia per produrre delle impressioni sui-generis (determinate o no da un’intenzione imitativa) indipendentemente da qual siasi concorso delle altre tre grandi potenze musicali, costituisce l’arte dell’istromentazione. Parmi aver detto altrove che questa non è arte che si impari, come non si impara l’arte di trovare de’ bei canti, delle belle successioni di accordi e delle forme ritmiche originali e potenti (2). E d’uopo limitarsi ad additare i risultamenti che dalla maggiore o minor capacità del compositore chiamato a riprodurli, verranno in diversa guisa modificati o bene o male (3). E ciò gli è quanto ci proponiamo di fare senza aspirare menomamente ad erigerci precettori, e solo corroborando questo studio con alcune osservazioni pratiche, a nostro giudizio non inutili, intorno all’uso disadatto o imperfetto dei vari stromenti. (1) Anche il flauto d’amore che potrebbe dirsi il contralto del flauto ordinario che si usa nelle orchestre, vorrebbe essere citato specialmente, ed ove fosse adoperato dai compositori con discernimento e opportunità riuscirebbe di grande effetto nelle stromeutazioni, per la molto patetica e dolcissima sua voce. (2) Ne sembra che il signor Berlioz avrebbe fatto bene a limitare d’alcun poco il significato di questa sua proposizione. Per riuscire eccellenti nell’arte di stromentare bisogna senza dubbio aver avuto in dono dalla natura un talento musicale che non si apprende a nessuna scuola: ma l’arte di usare de’ più perfetti mezzi dell'istromentazione e di combinarli in guisa che abbiano a corrispondere meglio agli effetti voluti dalla fantasia del compositore debbe essere studiata per principii e si perfeziona mediante l’esperienza ripetuta. Uno scrittore di musica il quale abbia sortito un genio anche straordinario non riuscirà mai al tutto valente nella difficile dottrina dello stromentare se non avrà ben ponderate e analizzate le migliori partizioni dei grandi maestri. Or che è questo se non imparare? L’E. (3) Ed ecco appunto, con buona pace del sig. Berlioz, ciò che chiamasi studiare per imparare: dunque anche l’arte dell’istromentazione è arte che si impara. L’E.

Fra gli stromenti a corde pizzicate la sola arpa è al tempo nostro generalmente adoperata. Il mandolino è cosi fuor d’uso che ne’ teatri sui quali si produce il Don Giovanni si è quasi sempre imbarazzati per far eseguire l’accompagnamento posto da Mozart al canto della serenata, sebbene con pochi giorni di studio un suonator di chitarra od anche un violinista comune possa pigliar sufficiente pratica del manico del mandolino e pizzicarne colla necessaria rapidità e colla penna le corde metalliche. Sono si poco rispettate in generale le intenzioni de’ grandi maestri ove sia necessario distorsi menomamente dalle vecchie abitudini, che quasi tutte le orchestre (non esclusa quella del Grand’Opera) si permettono far eseguire la parte del mandolino, nel Don Giovanni (l), o dai violini dalla chitarra. Il timbro di questi stromenti manca della finezza mordace propria a quello cui vengono surrogati, e Mozart sapeva pur bene il fatto suo allorché sceglieva il mandolino per accompagnare il canto erotico del suo eroe. Quanto al liuto, io non ebbi mai a vederne, sicché dubito grandemente se in tutta Parigi si troverebbe un artista capace ad eseguire il passo nel quale Sebastiano Bach Io adoperò nel suo Oratorio della Passione. Non è ella questa una mancanza dannosa? E perchè mai non si provvede a impedire che non si perda l’uso di stromenti gradevoli e d’altronde illustrati dalla parte importante che ad essi affidarono i più grandi maestri nei loro capolavori? Ufficio de’ Conservatorii non è appunto quello di conservare?... Dappoiché il pianoforte si è introdotto in tutte le case nelle quali siavi la menoma velleità musicale, la chitarra diventò quasi disusata dappertutto tranne in Italia (2) e in Ispagna. Alcuni pochi virtuosi la coltivarono e tuttavia la coltivano come stromento solo, in modo da cavarne effetti deliziosi quanto originali. I compositori non la adoperano punto nè nelle chiese, nè in teatro, nè nei pezzi d’accademia. E cagione di ciò la debole sua sonorità che rende impossibile associarla ad altri stromenti o a molte voci dotate di ordinaria intensità. E nondimeno molte volte potrebbe essere posto in bella evidenza il carattere della sua voce dotata di un cotal che di melanconico e di meditativo: e sortirne senza troppa difficoltà un gradevole e pittoresco effetto. La chitarra diversamente dagli altri stromenti tutti, perde ad essere adoperata simultaneamente, e a cagion d’esempio, dodici chitarre che suonassero accordate all’unisono, darebbero un effetto poco men che ridicolo. La stessa cosa non è a dirsi delle arpe, il cui effetto riesce tanto migliore quanto son esse in maggior numero. Le note, gli accordi, gli arpeggi ch’esse versano nel pieno dell’istromentazione e dei cori producono un effetto splendidissimo. Nulla vi ha che meglio simpatizzi colle idee pro-

(1) Il rimprovero che il sig. Berlioz fa alla orchestra del primo teatro di Parigi noi potremmo a buone ragioni rivolgerlo ad altre grandi orchestre, ove molte imperdonabili negligenze ed abusi di questo genere sono tollerati. - Ma ciò sia detto senza la più piccola mira di offendere chicchessia personalmente. L’E. (2) In Italia la chitarra può dirsi attualmente relegata nella bottega de’ parrucchieri e nelle bettole de’ sobborghi. Eppure a’ giorni nostri due italiani provarono a quanta eccellenza si possa ghignerò con questo stromento sì screditalo: Paganini e il famoso Legnarli che quale concertista di chitarra fece meravigliare di sé le principali capitali d’Europa. E recentemente anche il signor Giulio Regondi, giovine di soli 18 anni, diede saggio fra noi, con privato esperimento, di un ingegno straordinario sulla ghitarra.

prie delle feste poetiche e delle pompe religiose quanto il suono delle arpe ingegnosamente adoperate. Isolatamente o per gruppi di due, tre o quattro, le arpe producono ottimi effetti sia che si uniscano all’orchestra, sia che accompagnino delle voci o degli stromenti soli. Meglio di ogni altro timbro conosciuto quello della voce dei corni e dei tromboni, e in generale degli stromenti d’ottone, si marita col timbro della voce del1 arpa. Le due ottave basse, il cui bellissimo suono velato ha un non so che di grave e di misterioso, non vennero quasi mai adoperate per altro che per le note d’accompagnamento della mano sinistra, e a torto. Vero è bensì che gli arpisti si danno poco pensiero di eseguire dei pezzi intieri sopra corde lontane dal corpo del suonatore quanto basti per costringerlo a curvarsi all’innanzi stendendo le braccia e a conservar così per lungo tempo una positura incomoda; ma questa non è tal ragione che dovesse avere molto peso pei compositori; e la vera riposta sta in ciò che e non pensarono a trar partito da questo timbro speciale. Le corde dell'ultima ottava alla hanno un suono dilicato, cristallino e pieno di una certa freschezza voluttuosa che le rende opportune all’espressione delle idee graziose e soavemente fantastiche, e a susurrare i più dolci segreti delle ridenti melodie; tutto questo però sotto condizione che non siano mai messe in vibrazione con troppa forza dal suonatore, perocché in questo caso danno un suono secco, duro, non dissimile da quello di un vetro che si spezzi e per conseguenza molto prosaico, sgradevole e irritante. I suoni armonici del1 arpa e in ispecie di più arpe all’unisono hanno un prestigio anche maggiore. I concertisti le adoperano spesso nelle cadenze armoniche delle loro fantasie, variazioni e concerti. Ma non è facile formarsi un’idea della mirabile sonorità di queste note misteriose unite che sieno ad accordi di flauto o di clarinetto suonati nelle voci di mezzo. La è cosa veramente singolare che solo una volta, e non decorsero più che tre anni, siasi osservata la grande affinità che passa tra questi timbri e quanto abbiavi di poetico nella loro fusione. Malgrado i perfezionamenti arrecati alla costruzione dell’arpa a doppio movimento, la difficoltà del rapido maneggio de’ pedali, e il cattivo effetto prodotto dalla troppo precipitata loro azione sulle corde divietano a questo stromento il facile uso del genere cromatico. Dal che deriva una importante osservazione, vogliam dire che molti scrittori negligenti o ignari della vera natura dell’arpa scrivono per essa musiche ineseguibili o di enorme difficoltà, affidandole dei passi procedenti per semitoni, od armonie che modulano troppo spesso e troppo subitaneamente, o melodie sovraccariche di appoggiature accidentate. Nel caso in cui il movimento della composizione e la qualità della stromentazione esigono il subito passaggio d’una parte dell’arpa da un tuono all’altro molto lontano del precedente, dal mi bemolle, per esempio, al mi naturale, esso non può eseguirsi sullo strumento stesso, ed è quindi mestieri ricorrere a un’altr'arpa accordata in diesis, per succedere d’improvviso a quella accordata in bemolli. Se anche la transizione non è repentina, e non vi sia che un solo arpista, deve

nondimeno il compositore affidare al suonatore

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