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GAZZETTA MUSICALE | ||
N. 9 |
DOMENICA |
DI MILANO |
J. J. Rousseau.
GRANDI COMPOSITORI
delle scuole
TEDESCA E FRANCESE.
CRISTOFORO GLUCK
I.
Sua riforma melodrammatica
......Toules les fois que la forme est préférée à la vie je reconnais la trace de l’école romaine; toutes les fois que la vie l’emporte sur la forme, je recoinnais l’influence du teutonisme».
Ph. Charles.
I grandi compositori, che variamente
contribuirono ai migliori
incrementi del melodramma,
voglionsi dividere in
due distinte categorie.
Ad una di queste appartengono quei
sommi pe’ quali la forza del pensiero, la
meditazione e lo studio giovarono in gran
parte a dar valore ai prodotti di fantasie
ricche più o meno di splendide immagini.
Nell’altra sono da annoverare quelle organizzazioni
privilegiate cui la dovizia dei
doni naturali, o per meglio dire istintivi,
non rese tanto necessaria la mentale elaborazione
che e’ non potessero rapire le
moltitudini anche colla sola libera abbondanza
delle idee e colla spontaneità degli ispirati
canti. Salve diverse eccezioni, delle quali
sarà fatto conto a suo tempo, i principali compositori
della scuola tedesca vorrebbero essere
classificati nella prima delle due suindicate
categorie. Al genio italiano è incontrastato
il vanto di avere gettato immenso
splendore sulla scuola musicale cui diedero
celebrità i grandi scrittori melodrammatici
appartenenti alla seconda. Adunque da
un lato gli Hasse, gli Haendel, i Bach,
gli Haydn, i Gluck, e a1 tempi a noi più
vicini, Beethowen, Mozart, Weber, Meyerbeer,
Spoor, Mandelshon; dall’altro i Porpora,
i Pergolesi, i Cimarosa, i Paisiello,
e a’ giorni nostri Rossini, Bellini, Donizetti,
Mercadante, Coccia, Pacini, ec. Nei primi la natura
germanica col severo suo carattere tendente
all’analisi psicologica e alle astrazioni;
un non so che di vago e di fantastico nella
audace manifestazione del pensiero; la mente
che spiccando i suoi voli dai più intimi
recessi dell’anima mira a spaziare nei liberi
campi dell’ideale: nei secondi l’indole
meridionale più vivace che meditativa, e
tendente per naturale impulso alla purezza
della forma, alla chiara eleganza de’ concetti, alla leggiadria della locuzione, e ricca
di mezzi di pronta e facile emozione.
A chi però con sapiente discernimento
osservi quanto al presente anche le più brillanti
fantasie musicali italiane, falle accorte
che le arti non giungono mai a tanta altezza
come allora quando, nelle loro creazioni,
all’elemento poetico per eccellenza
è accoppiata la forza del pensiero, siensi
volte a studiare i capolavori della scuola
oltremontana sotto il loro punto di vista
veramente degno di meditazione ed abbiano
tratto buon frutto dal loro studio; a chi rifletta
alla evidente innegabile tendenza del
vario genio musicale delle due sì diverse nazioni
ad approssimarsi per mettere in comune
ciò che l’uno ha di forte e di profondo
con ciò che l’altro ha di vivace, di elegante
e di sentito, si chiarirà di leggeri
quanto sia opportuno che ad agevolare
la grande fusione nei limiti convenienti,
contribuir possa l’esame delle classiche
Opere appartenenti alle due scuole, e principalmente
lo studio di quegli autori che
già assai prima d’ora a quella fusione cooperano non
abbastanza avvertiti dalla critica.
Oltre a ciò, da un simile ufficio si otterrà
di distruggere non poche prevenzioni e pregiudizi!
che tra noi tengono ancora in sospeso
gli animi intorno al valore di molti
nomi di compositori oltramontani, già consecrati
a una incontestata immortalità nella
loro patria, inanella nostra Italia poco meno
che sconosciuti, o tutt’al più bisbigliati con
timida venerazione da alcuni isolali studiosi,
ai quali, sotto pena di incorrere taccia di
pedantismo scentifico per parte degli indotti
musicali, è perfino negato il far libero
e aperto esercizio del loro culto.
Il tempo delle esclusioni è ormai passato:
dacché le società europee, mercè le agevolate
comunicazioni materiali, hanno addotto
a perfezione i modi di porre in comune
e per conseguenza di assoggettare a
inevitabil confronto il relativo patrimonio
di genio e di sapere, non è più lecito a
veruna di esse il ridersi della povertà delle
altre e pretendere di vantare una superiorità
qualunque, se prima non si è fatto precedere
il coscienzioso e dotto sindacato delle
rispettive ricchezze. - Ora vogliano i lettori
accompagnarci nella nostra prima corsa
biografica.
Cristoforo Gluck nacque nel Palatinato
da poveri genitori verso il 1716. Il padre
di lui trasferitosi in Boemia ove si
domiciliò, moriva poco dopo lasciando il
figlio suo in tenera età e privo di beni
di fortuna. Molto negletta sortì l’educazione
di questo fanciullo, ma la natura
gli aveva fatto il dono prezioso dell’i—
stinto musicale. Si potè già notare in altro
articolo di questa Gazzetta come il gusto
per l’arte de’ suoni sia poco meno che
comune in Germania (1), dove così nelle
città come ne’ villaggi o nelle chiese o per
le strade ti incontri in donne e fanciulli
che cantano a parti combinate o suonano
diversi stromenti. Il giovinetto Gluck imparò
a suonare la maggior parte de’ stromenti
senza soccorso veruno di maestro.
Ei trascorreva di città in città accattando
il pane col dar saggio del suo ingegno
musicale, finché a Vienna potè apprendere
i principii della composizione, e si
dedicò a scrivere diverse musiche il cui
buon esito lo incoraggiò a far studio di
perfezionare al più possibile le naturali sue
doti (2). Non ancora aveva tocco il ventesimo
anno, allorachè si decise, nel 1736, a
trasferirsi in Italia, questa nostra terra prediletta
del cielo, alla quale quasi per irrevocabile
fascino sono o tosto o tardi chiamati
tutti gli ingegni privilegiati e distinti
nella più affettuosa e popolare tra le arti
imitative.
Il giovine Gluck dopo quattro anni di
studio si sentì atto a scrivere pel teatro.
In questo pericoloso arringo ei produsse
una prima sua Opera, e fu l'Artaserse, che
venne eseguita sulle scene del maggior teatro
della nostra Milano, ove circa novant’anni
dopo doveva appunto manifestarsi
colle prime sue più calde ispirazioni il compositore
contemporaneo italiano, che più
d’ogni altro educato aveva il proprio ingegno
musicale sui capolavori di Gluck, e meditatene
a fondo le alte bellezze drammatiche.
Susseguentemente, nel 1742, l’autore dell’Artaserse
fece succedere sulle medesime
nostre scene una seconda Opera, e questa
fu il Demoofonte; poi nel 1743 il Siface,
e nel 1744 la Fedra. In pari tempo
e nel corso di questi quattro anni furono
da lui prodotte il Demetrio e l'Ipermestra
a Venezia, l’Artamene a Crema, lAlessandro
nelle Indie a Torino. Quasi dappertutto
ebbero buon esito queste sue Opere
e lo posero in ischiera co' primarii compositori
del suo tempo. Invitato a recarsi
a Londra, diede colà due Opere nel 1743.
Tornò poi in Germania ove altre partizioni
teatrali confermarono la fama di che già
era insignito il suo nome.
Ei fu in questo periodo di tempo che lo
(1) Vedi Articolo sulla Musica in Germania nei numeri 5 e 7. (2) Secondo il Bertini, il Gluck a’ 17 anni portatosi in Italia fu per un pezzo scolaro del. Sammartini in Milano.
- Ma altri biografi non fanno cenno di questa circostanza.