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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gazzetta Musicale di Milano, 1842.djvu{{padleft:44|3|0]]sarebbe a desiderare che l’ingegno medesimo mostrato dal maestro a ben contornare alcuni periodi staccati e a dare venustà c grazia al disegno di molte cantilene gettate qua e là poco più che alla ventura, ei lo avesse posto a coordinare la forma dei pezzi in guisa che meno apparisse quel non so die di rotto e di scomposto che domina nella più parte di essi. Non è già che noi vogliamo porre in dubbio che il sig. Nini manchi di dottrina e non sappia insegnare a molti che cosa si debba intendere per bella e corretta fattura musicale di un’aria, di un duetto, di un terzetto... ma certamente nella sua nuova partizione non sapremmo trovare un solo pezzo le cui diverse membra si colleghino e si intreccino tra esse con quell’ordine, con quella chiarezza e nobile eleganza e severità di stile che fanno mirabili le composizioni de’ grandi maestri. Ed all’incontro non troveremmo difficile l’additarne parecchi ne’ quali le impreparate sospensioni e ritardi, i repentini passaggi di tuono e i troppo vicini mutamenti di tempo appaiono più presto necessitati da quella fluttuazione della fantasia e incertezza della scienza cui indarno accorre a sussidio il volgare artifizio degli effetti di convenzione. I pezzi melodrammatici che a nostro giudizio stanno più saldi contro ai rigori della critica, non sono già quelli ne’ quali vi ha una tal quale abbondanza di idee appena sbozzate, ed ove certe frasi melodiche quasi vergognose della loro magrezza si appiccicano in coda le une alle altre, non per logico sviluppo, ma solo per determinare una certa lunghezza e distribuzione, prestabilità di tempi, di cadenze, di piani e di forti, ed offrir modo al cantante di far bella mostra delle sue corde ec.; bensì quegli altri ne’ quali anche con due o tre soli pensieri più o meno nuovi si elabora da sè stesso e senza sforzo od intoppo il naturale svolgimento della composizione e si compisce nelle sue proporzioni più giuste. Si dirà che vogliamo dettare dei precetti, ma noi preghiamo ad avvertire che non facciamo che esprimere la nostra opinione; libero ad ognuno adottarla o respingerla. Se non abbiamo a congratularci coll’autore dell’Odalisa dell’aver dato prova di molto sapere nello stendere i suoi pezzi con disegno tutt’altro che corretto, tanto meno troviamo argomento a dargli lode di ciò che anzitutto vorremmo notare nelle composizioni di que’ maestri che si producono sulla gran scena della Scala; e vogliamo dire il carattere melodrammatico, ossia quella speciale impronta per cui le diverse parti di un’Opera, anziché distinguersi l’una dall’altra per un certo quale formalismo materiale, vogliono essere diversificate da una fisonomia tutta propria che debbe apparire ispirata alla fantasia del compositore dalla intenzione dominante nella scena cui egli appone la musica. Per amore del vero però è a dire che in qualche pezzo, p. e., nel primo coro de' Zingari, il signor Nini lascia scorgere di avere tentato questa specie di effetto, ad ottenere il quale il maestro non dee accontentarsi di lasciar correre giù dalla penna i pensieri tali e quali si affacciano alla sua immaginazione, ma è duopo che colla meditazione soccorra a determinare se più o meno si convengono a quel dato punto scenico e se si assimilano perfettamente al concetto del poeta. I grandi capolavori musicali dell’età nostra, que’ pochissimi cui è riserbata una durevole fama, sono principalmente distinti per quest’importante pregio, c ciò clic in essi più si ammira è l’impronta caratterista ingiunta al tutt’insieme dall’indole del soggetto drammatico e dai rapporti di tempo, di luogo, di costumi, ec., cui il fatto è riferito, e alle singole parti dalle condizioni peculiari di ciascuna scena, dalla varia natura e umore de’ personaggi, dal vario contrasto d’azione in che son posti tra essi, ecc. Veggansi il Don Giovanni di Mozart, il Mosè, il Guglielmo Tell di Rossini, gli Ugonotti, il Roberto il Diavolo di Mayerbeer,ec.;e per scendere un tantino più basso osserviamo le due nuove Opere che di fresco furono date sulle nostre scene: la Maria Padilla e la Saffo: nell’una e nell’altra gli illustri maestri si curarono anzitutto di dare una tinta caratteristica ai diversi pezzi, e di modificare i diversi movimenti della loro immaginativa a seconda delle varie impressioni che doveano svegliare nello spirito dello spettatore. E quanto al signor Pacini in particolare, se a giudizio de’ buoni conoscenti, dalle ultime sue Opere udite alla Saffo segnò un passo gigantesco sulla via che guida ad una celebrità non effimera, a che cosa altro il deve se non allo studio posto, non solo di far cantare più o meno gradevolmente i suoi attori, ma sì di farli cantare nè più nè meno al modo che si richiedeva dalle qualità distintive del soggetto offertogli dal poeta, così che ottenne di imprimere al suo bel lavoro una fisonomia propria, e per la quale non si confonderà con tante altre Opere della giornata scritte senza meditazione e buttate giù all’infretta per soddisfare la grande brama di novità musicali clic agita il pubblico italiano. Forse anche il signor Nini subì l’influenza di questa dannosa condizione in che troppo spesso sono posti i nostri meno oscuri maestri; o fors’anco il libro gli si offriva povero di intenzioni drammatiche ben determinate e svolte con pensato e non apparente artifizio. Diremo a questo proposito che il signor Sacchéro è giovine di bell’ingegno, ma od inganniamo a gran partito, o ne sembra che non siasi ancora formata una giusta idea delle condizioni poetiche che voglionsi curare anzitutto in un’azione acciocché si presti felicemente ai grandi e svariati effetti della composizione musicale. A provare per esteso quanto qui affermiamo si vorrebbe un apposito articolo, e al caso non mancheremmo di stenderlo: ora ne basti accennare, per esempio, che dal carattere di Albo avrebbe potuto il poeta trarre molto miglior partito e per l’interesse del dramma e per quello della musica solo che si fosse studiato di conservarlo sotto quella sembianza di semiselvaggia fierezza e di appassionatezza rozza ma caratteristica di che seppe improntarlo nelle prime scene. Anche la maestosa figura di Giovanna, che sì drammatica si presenta nella storia, mancò poco meno che del tutto sotto il pennello incerto ma pur brillante del signor Sacchéro; non parliamo di Odalisa la protagonista, che per verità in questo melodramma (il cui soggetto ne pare richiami alla memoria la Maria Tudor di V. Hugo ) è poco meno che passiva. Questi sono difetti importanti in un libro per musica, perchè lasciano indeciso il maestro, al quale non rimane che la meschina risorsa di attaccarsi ai piccoli effetti melodici, e al ripiego delle casuali sortite de’ cantanti, più o meno buone secondo che sono più o meno felici e caldamente ispirati i parziali slanci della dizione poetica e l’incalzar del dialogo. Pregi di questa seconda qualità non ne mancano nella Odalisa del giovine Sacchéro, e ciò ai poveri tempi che corrono pel melodramma italiano, è pur qualche cosa. Delle locuzioni scorrette, e delle figure rettoriche un po’ strane, noi non crediamo necessario occuparci sul serio perchè sono più proprie del dominio della critica meramente letteraria. Si dirà che queste nostre osservazioni sono troppo sottili e sofistiche, ma a nostro giudizio, trattandosi di un’Opera nuova che si produce sulle scene di uno dei primi teatri del mondo, non sono mai sovverchic le esigenze. Se avessimo ad occuparci delle nuove partizioni che si scrivono per le piccole scene de’ teatri delle province e delle borgate, lasceremmo da un lato la severa critica estetica che ci siamo ingegnali di adoperare coll’egregio signor Nini e col suo bravo collega il Sacchéro, e forse ci acconteremmo di notare la minore o maggior bontà de’ motivi e delle cantilene, e d’altre simili futilità delle quali ogni menomo compositoruzzo che sappia rubare nelle vecchie partiture c nelle composizioni stromentali non note al pubblico, può fare sfoggio dal più al meno. - Ma il nostro è un caso ben diverso, e ciò diciamo per far onore ai nostri criticati. Ripetasi lo stesso press’a poco nel proposito de’ signori cantanti di quest’Opera. Dacché ci si appresentano sul vasto palco dell’illustre nostro teatro abbiamo diritto di pretendere qualche cosa di più che non due o tre felici sortite, otto o dieci frasi melodiche modulate con grazia, o se volete anche un intero andantino, una cabaletta, una cadenza o che so io, cantati con gusto e buon metodo... E in proposito dell’Odalisa chi pigli a lodare per queste menome cose il tenore sig. Saivi, la signora Abbadia, la signora Brambilla, ec. che altro farebbe se non impiccolire la loro importanza di attori cantanti di primo rango? Vorremmo avere potuto udirli un per uno nella interpretazione sentita e pensata di parti concepite con filosofia e con estro dal poeta e dal compositore (come, p. e., è il caso del Belisario) e allora non avremmo scrupolo di abbondare di larghi elogi ! A ciò s’aggiunga che per la buona esecuzione di un Opera anche cattiva non bastano le belle sortite parziali e isolate or dell’uno or dell’altro cantante, ma si vuole il beninsieme, l’accordo perfetto, l’intelligente concertazione!... E in tal proposito quanto alla prima recita dell’Odalisa ci si permetta un profondo silenzio. Il Belisario dell’illustre nostro Donizetti vuolsi annoverare tra le poche Opere italiane che in questi ultimi tempi potemmo veder concepite con vigoroso proposito drammatico musicale. Se questa Opera non fosse già da un pezzo in proprietà del Teatro, vorremmo assoggettarla ad una parziale analisi, nella quale crederemmo agevole far manifesta la verità di quanto abbiamo detto altra volta parlando del medesimo Donizetti, che, cioè, le ispirazioni del compositore sono sempre vive, originali e caratteristiche in ragione diretta delia maggiore o minore portata poetica del concetto offerto alla sua fantasia dall’estro del drammaturgo. Fors’anco troveremmo a notare alcune negligenze, alcune trascuranze di effetto, e diversi punti scenici trattati alla sbadata, e ne’ quali l’austerità di stile rigidamente osservata ne’ pezzi principali è al tutto perduta di vista. Ma tutta la parte di Belisario, il vecchio eroe romano che dai trionfali clamori della gloria guerriera, vittima di un viluppo di impreveduti casi, piomba nella sventura, e, cieco, errante per deserti paesi, non ha che i teneri affetti di una figlia che lo conforti nel doloroso abbandono, indi tardi vendicato spira all’ombra delle bandiere imperiali da lui guidale tante volte alla vittoria, tutta questa bellissima parte è svolta con molla filosofia c colorita con quella savia abbondanza di pensieri musicali che costituisce l’unità nella varietà, importante canone sì poco osservato nelle Arti imitative. Per una parte sì pensatamente concepita vuolsi un cantante di primo valore che a tutto il prestigio del musicale linguaggio sappia accoppiare quello dell’azione. il signor Ronconi non è il primo artista che tra noi rappresenti il carattere di Belisario, le diverse modificazioni psicologiche del quale già altri prima di lui mirabilmente interpretò. In quali punti egli superasse il suo antecessore, c in quali altri rimanesse forse al dì sotto, si dirà in altro apposito articolo se l’abbondanza delle materie ce ne lascierà il luogo. Ne basti intanto accennare che i movimenti di affetto, non che tutte le frasi nelle quali richiedesi vigore di pittoresca espressione, furono da lui molto vivamente colorite. È vano il dire dell’eleganza e purezza del suo canto; in questo proposito speciale, che in una parte come quella di Belisario è di necessaria ma non principale importanza, si può essere certi che il signor Ronconi non manca mai. L’egregio Donzelli, artista dotato di qualità tutt'altro che comuni ai giorni nostri, ha interpretata con molta energia (talora anzi forse sovverchia) la parte appassionata del giovinetto guerriero che Belisario reputa il solo degno di raccogliere la vittoriosa sua spada. Con artifizio superiore ad ogni lode egli sa nascondere la poca flessibilità di una voce di tenore se non freschissima, certo piena di colorito e di vigore. La signora Brambilla nell’affettuosa e tenera parte di Irene trovò delle tinte piene di garbo, e ricordò i suoi giorni più felici. Desideriamo di aver presto argomento d’intrattenerci a lungo della signora Strepponi, cui finora il pubblico non fu nè doveva essere largo de’ suoi favori. B.
BIBLIOGRAFIA MUSICALE
COMPOSIZIONI DI ANTONIO BAZZINI
ART. II (1).
Musica Vocale.
Il sig. Bazzini fino al presente non fece di pubblico diritto, in genere di musica vocale, che sei composizioni da camera. Il Gondoliero, La Sera, All’Amica lontana, Barcarola Impromptu, La Melanconia, L’Amo e il Bacio sono i titolari di questi sei componimenti, ne’ quali tutti riscontrasi giusta conoscenza di canto, retta espressione della parola, sufficiente originalità e costante eleganza. Come nella musica istromentale, da noi già accennata in altro articolo, così pure in questa, trascorreva un bel tratto di tempo, principalmente dalle prime alle ultime di queste Romanze, ed anche in questo caso appare nelle prime due l’incertezza del fare e la troppa apparente imitazione di Bellini più che d’altri; ma a contare dalla terza in avanti si chiarisce sempre più evidente Io sviluppo pieno di idee proprie e non comuni. Tuttavolta riscontriamo anche nella prima una cantilena sparsa di una omogenea melanconia e nella seconda un canto dolce e ritraente con giustezza il significato della parola. Ma vuolsi osservare nella terza molto maggiore finitezza; e in essa oltre un canto assai pieno d’espressione sono a lodarsi gli accompagnamenti, per altro forse più convenienti ad un complesso di stromenti d’arco che non al pianoforte. La quarta che è la Barcarola Impromptu, la quale se non è, deve almeno dal suo titolo supporsi improvvisata, è a nostro giudizio la più gentile e spontanea fra tutte queste sei composizioni. La cantilena è suffusa di una tinta pressoché aerea, e l’accompagnamento molto più accurato di quanto ad un improvviso si convenga, le presta grandissimo risalto. E questa davvero una cara Barcarola. Anche la romanza La Melanconia ha il pregio di molto sentita espressione, ma oseremmo giudicarla mancante di quella unità o piuttosto condotta di pensiero che abbiam dovuto condannare anche in alcune opere istrumentali del medesimo sig. Bazzini. Inoltre l’accompagnamento è pochissimo variato, sicché induce una tal quale monotonia nell’insieme del pezzo. Quanto alla tessitura vocale, sembra a noi che la si elevi un po’ di troppo nell’ultimo maggiore, che pure si abbellisce di una gradevole melodia. Non ci gradirono gran fatto i bassi dell’ultimo rigo della 4.a pagina che ne parvero poco felici. L’ultimo di questi sci pezzi si è il Duettino lAmo e il Bacio, il quale ne pare non sia da stimarsi da meno degli altri per vaghezza di melodie, d’armonia d’accompagnamento, ma dobbiamo confessare che in esso ci parve stucchevole la replica ostinata di que’ due versi Vieni coll’amo al margine I pesci a depredar, i quali sono, senza esagerazione, da ambe le parti cantanti, replicati una trentina di volte almeno. Di certo ella è questa una astrazione imperdonabile, non fosse altro per la semplice ragione che il pezzo ne riceve un effetto quasi ridicolo, sebbene per buona e corretta composizione potrebbe a buon diritto giudicarsi tutt’altro. Ponendo ora da un lato il pungolo della critica, ci sia lecito osservare che nessuno de’ nostri contemporanei istrumentisti trattò il canto con un fare così sicuro, e che ove piaccia al Bazzini dedicarsi a cose anche di maggior rilievo, certo egli il potrà, come colui che nelle or lodate composizioni ne diede saggio non dubbio di un ingegno atto a più maschi e vasti concepimenti.
A.M.
(1) Vedi il N. 7 di questa Gazzetta.
NOTIZIE VARIE.
— Soavi pochi esempj di una voga simile a quella
ottenuta dai Venticinque studj progressivi diligentemente
digitati per pianoforte, composti da Francesco
Hunten. Coloro che già li conoscono s’accordano tutti
nell’apprezzare la rara utilità di questi eccellenti Studj.
- Anche il celebre Bertini sta per pubblicare una nuova
Opera di Studj che tutti quelli che si esercitano sul
pianoforte vorranno procurarsi: tanto il nome dell’autore
per siffatto genere di musica didascalica è benemerito
all’arte.
— Varj giornali parigini confermano la notizia della
nomina del maestro Auber alla direzione del Conservatorio
di Parigi. Il ministro accettando la demissione di Cherubini,
come già sidisse, ha nominato l’illustre compositorea
commendatore dell’ordine reale della Legion d’onore.
È il primo caso che un maestro di musica in Francia
abbia ricevuto una tale onorifica distinzione.
— Vienna. La piccola sorella dell’acclamata fanciulla
pianista Sofia Bòhrer ne’passati giorni fu oggetto di singolare
stupore. Questa bambina di circa sei anni in varie
società suonò alcuni pezzi sul pianoforte con una granitura,
facilità e sicurezza veramente miracolose.
Il primo concerto del rinomato pianista Dhòler è
quivi già annunziato per la mattina del giorno 10 Marzo
nella sala del Conservatorio.
— Madrid. Dopo che Fétis pubblicò la sua Rivista
musicale ad imitazione della Gazzetta di Lipsia, nella
maggior parte delle capitali d’Europa sorsero de’ giornali
di musica. Da qualche tempo anche a Madrid compare
un foglio intitolato, La Iberia musical che sembra
redatto con mire assai lodevoli e chiamalo a render degli
importanti scrvizj alla musica in quel paese.
— Berlino. Quella università ha insignito Listz del titolo di Dottore in musica.
GIOVANNI RICORDI
EDITORE- PROPRIETARIO.
NB. Si unisce a questo foglio il pezzo N. 2 dell'ANTOLOGIA CLASSICA MUSICALE.
Dall'I.R. Stabilimento Nazionale Privilegiato di
Calcografia, Copisteria e Tipografia Musicale di GIOVANNI RICORDI.
Contrada degli Omenoni N. 1720