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GAZZETTA MUSICALE | ||
N. 13 |
DOMENICA |
DI MILANO |
J. J. Rousseau.
AVVERTIMENTO I signori associati a questa Gazzetta invitati ad inscriversi o già inscritti ad un solo trimestre, non dando al nostro Ufficio verun avviso in contrario, continueranno a ricevere i fogli e i loro nomi verrannoconservati nel catalogo delle associazioni in corso, sino al fi riir del semestre. L’incaricato dell’Ufficio. Carlo Z,ascosi. CRITICA MUSICALE. CRISTO Ali MONTE OMVETO. Oratorio ili E. Vm Ui i iiiovia. eseguito la mattina del 20 eorr. nella gran sala dell’#. Mt. Conservatorio. fon sappiamo indurci a sottoscrifivere pienamente alla sentenza lìgdel sig. Fétis, al quale la partiazione di Beethoven, Il Cristo oli Oliveto^ sembra sparsa di una tinta fredda e monotona ch’ei dice essere effetto di una soverchia elaborazione scentilica (1). Certo è che noi pure non vi abbiamo trovata quella ridondanza di frasi cantabili, quella ricca vena di vocali locuzioni che noi italiani amiamo a buon dritto riscontrare in ogni componimento musicale; ma chi voglia farsi ragione della natura del soggetto intorno al quale prese Beethoven a spendere le sue fantasie, di leggeri troverà a scusarlo della povertà di periodi a ritmi melodici e (quadrettati (per servirci di una parola dell’uso) che se con effetto gradevole si sporgono nel pezzi scenici destinati a colpire i sensi della moltitudine radunata ne’ teatri, troppo arrischiano di imprimere un carattere di impropria volgarità alle composizioni che denno supporsi dedicate ad uditori più raccolti e desiderosi di severe emozioni anziché di sensazioni piacevoli e di molli velicamente Trattavasi di pennelleggiare coi mirabili colori della musica il gran quadro del divino sagrificio; il tìglio di Dio in atto di offrire i suoi patimenti al supremo volere che il destinava all"umano riscatto. Per una sì grande e solenne pittura era mestieri che il compositore si valesse di tutte le più ardite e vigorose risorse della sua arte. La melodia col prestigio de’suoi vezzi, colle dolcezze de’ suoi aggraziati sviluppi poteva ben riguardarsi come uno de’migliori mezzi (1) Vedi Dictionnaire universel des musiciens. di effetto, ma non come il solo, e meno poi come il principale. Un maestro dotato di vena melodica più di quanta ne possegga Beethoven, ma non forte della maschia e veramente poetica sua intelligenza, avrebbe con poca difficoltà ornate le parti cantanti di Cristo e del Serafino ili cantabili soavi, di gentili sortite vocali: i cori degli angioli, trattali alla foggia usitata da molti moderni compositori da teatro, sarebbersi svolti con più rotondi e simetrici giri di frasi; i ritornelli, i passi di carattere e fors’anco le cabalette non avrebbero mancato di gettare qua e là quei cari sprazzi di melodia che tanto allettano nel centoni accademici e riescono sì belli anche ridotti per ghitarra o aggiustati sugli organi che girano per le strade; ma poi che sarebbe stato del severo carattere proprio al grandioso tema del componimento? in quale modo il più solenne fatto che ricordino le sacre carte sarebbe stato interpretato dall’artista, cui è principale obbligo di subordinare nelle sue creazioni gli slanci dell’invenzione ai dettami della filosofia se pur vuole che rimangano a monumento del suo genio e non si confondano colle opere che la moda oggi corona di entusiasmo, dimani dimentica o sprezza? Però, sebbene Beethoven in questo suo Oratorio non isfoggi esuberanza di cantilene soavi e di ben contornati e simetrici periodi, non manca di vive, colorite ed effettive modulazioni le quali sviluppandosi con perspicua finezza, e le une alle altre succedendosi e tra esse intrecciandosi con bene mascherate soture e con peregrini inganni e transizioni armoniche, imprimono al linguaggio degli alletti quell’ùria di ineffabile serenità e grandezza che sola conviensi alla divina natura de’ personaggi della breve azione drammatica. E a nostro credere è poi suprema i’arte del compositore in questo che i modi del fraseggiare applicati all’uno, all’altro e all’altro di essi personaggi, il Cristo, il Serafino, il San Pietro, recano una impronta sì speciale che facile riesce l’indovinare da essa sola quale diverso modo d azione essi abbiano nella sacra rappresentazione. Si osservi, a cagion d’esempio, con quale gastigata e affettuosa serenità si manifesti, nell’indole grave e a un tempo patetica delle modulazioni, il carattere del divino Redentore, tutto sublime rassegnazione e mistica tristezza; e per contrapposto con quale effusione celestiale esprima il Serafino i suoi sentimenti di adorazione verso la suprema virtù del figlio di Dio; con quanta aggiustatezza e sobrietà di accenti si dipinga il contrasto degli affelli da cui è commosso il coro degli angioli nell’aspettazione dell innenarrabile sagrifizio! Né si dica che il nostro soverchio entusiasmo pel genio pittoresco di Beethoven scuota il nostro spirito al punto di farci sentire più di quanto il compositore o volle o seppe manifestare. Noi siamo certi che non potrà non essere del nostro avviso ogni uditore dotato di non volgare animo il quale si faccia ad ascoltare il sacro componimento con una indipendenza di giudizio che escluda ogni veleità di pedantesco confronto o di approssimazione con altre musiche della giornata, e si concentri a debitamente comprenderne le ispirazioni sublimi. Per l’altra specie di uditori la musica di Beethoven è parola morta. Ma finora non abbiamo tenuto discorso che delia parte melodica di questa partitura, ossia di ciò che più propriamente serve alla espressione degli affetti diversi onde sono compresi i pochi personaggi della succinta ma solenne azione. Ne rimane da osservare con quale magisterosovrano il sommo compositore, mercé il sapiente uso dell’orchestra, avvalorato dai più eletti tesori dell’armonia, ottenesse di far compiuta la svariata pittura in tutte le sue manifestazioni non psicologiche, in quelle cioè, che sono meglio destinate a colpire la fantasia anziché a toccare il cuore. - E in quésta parte, per quanto culto noi italiani siam tratti a dedicare ai nostri sommi compositori, Beethoven va messo al dissopra di tutti. Ben s’appose quell’arguto critico tedesco il quale, raffigurando a foggia di una piramide la scienza stromentale, disse esserne Ilaydn il piedestallo; somigliò Mozart al corpo della piramide stessa, ed il grande autore del Fidelio^ Beethoven, al culmine; e aggiunse che, guai a chi voglia spingersi più alto! el corre pericolo di precipitare e fiaccarsi. E per vero, la potente dottrina di ritrarre colle risorse dell’orchestra i possibili fenomeni fisici e morali, ossia di eccitare in modo lo spirito dell’uditore che abbiano a svegliarsi in esso le emozioni poco men che medesime, ove di que’ fenomeni fosse o spettatore o partecipe, nessuno più in là di Beethoven potè vantare finora. E questo noi affermiamo non tanto fondati sul giudizio de’ più dotti scrittori di cose musicali, ma ed anche pel profondo commovimento che di fresco provammo ai sentire l’Oratorio di cui teniam discorso. In esso, ogni idea di artifizio scentifico o di ingegnosa collocazione e intreccio di
parti è in certo modo assorbita da un mi