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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gazzetta Musicale di Milano, 1842.djvu{{padleft:92|3|0]]gli elementi di cui si forma la nostra musica, dei quali ci conviene discorrere partitamente per iscoprirne l’intima natura, e l’influenza che possono avere nel musicale linguaggio. Riguardando alle altre arti non troveremo ritrarre esse altronde il loro potere, la loro importanza che dall’analogia che esse hanno coi fenomeni della vita. Così deve essere anche della musica, epperciò nelle nostre investigazioni noi dobbiamo mirare principalmente a scoprire questa analogia, nè meglio il possiamo che col metodo analitico. Già vedemmo come il ritmo abbia relazione con tutti i moti sensibili,- ritorneremo a questo elemento per osservarlo nell’influenza che esercita unito agli altri nel corpo totale. Ora ci conviene parlare degli altri, e primamente del tono o modo. V. Nella nostra musica si riconoscono due magistrali caratteri essenzialmente distinti, due parole primordiali costituite dai due toni, che i moderni italiani e francesi dicono maggiore o minore, e i tedeschi a modo degli antichi nostri appellano tuttavia duro e molle. Questi toni sembrano corrispondere esattamente al significato delle parole piacere e dolore; se non che troviamo non di rado accoppiato il tono minore a parole il cui senso è piacere, e viceversa il maggiore a sentimenti che nascono da dolore senza che il buon senso ne rimanga offeso, anzi con tutta verità di espressione. Per la qual cosa, se non si riconoscesse evidentemente la mestizia dell’uno, e la festività dell’altro tono anche nelle sole scale, o nelle sole armonie di tonica, saremmo tentati a credere che nulla analogia si trovi realmente fra i toni musicali e questi stati deifi animo nostro. Ma quella evidenza di caratteri ci avverte che noi dobbiamo spingere più addentro le nostre osservazioni. Se noi riflettiamo alle moltiformi circostanze che ci arrecano piacere o dolore troveremo che sonovi piaceri così forti talora, così sensibili che l’umana potenza ne rimane abbattuta, piaceri che inebbriano e munirono a togliere i sensi e la vita, n p p.. r. * e che in queste situazioni 1 espressione naturale è molto simile a quella del dolore, e consiste in gemiti, in esclamazioni, in lagrime. Così per l’opposto non tutti i dolori anche intensi opprimono, molti anzi irritano la potenza vitale, talmente che questa si raddoppia, e fortemente reagisce a respingerli o a sostenerne il peso. Quindi ogni segno esterno fa fede dell’energia o dell’irritazione della forza vitale. Se dunque il carattere dei segni esterni per mezzo dei quali si manifestano gli affetti è non tanto corrispondente al piacere o dolore risentito quanto all energia che ha la potenza morale a sostenerli, dobbiamo credere eziandio che il tono musicale corrisponda del pari a questa energia, anziché al piacere o al dolore. In questa ipotesi l’espressione conveniente ad ogni affetto in cui la potenza morale è eguale o superiore all’urto che riceve, debb’essere assolutamente il modo maggiore, mentre ogni volta che l’urto è superiore, l’espressione conveniente sarà il modo minore. Il carattere che assume la voce umana in tali situazioni è analogo resta ad esaminare in che consista il vero carattere dei toni. VI. E da notarsi come tutte le voci sì umane che artificiali hanno maggior forza negli acuti che nei bassi, stando in un medesimo registro, e che perciò una scala di 82 — suoni ascendenti ne presenta fi immagine d’una azione crescente, siccome per l’opposto una scala discendente è immagine di azione decrescente. Dal che ne viene che la forza progressiva deve apparire tanto più energica quanto più s’innoltra a passi eguali e slanciati, come la regressiva quanto più lentamente cede il terreno, e meno stanca si dimostra, e non precipita. Tale è appunto il fenomeno che ci presenta la scala ascendente e discendente del tono maggiore comparativamente al tono minore. I suoni che ne costituiscono la differenza sono la o.“ e la 6.® che diremmo terza retrograda ed ecco in qual modo. La 3." ascendente è mesta quando non dista dalla tonica che di un tono e mezzo, gaja quando ne è lontana due toni; all’opposto la 5.° discendente è gaja nella prima proporzione, mesta nella seconda. La mestizia del tono minore diviene lacerante quando alla 6.a minore succede ascendendo o precede discendendo la 7.® maggiore. perchè nel primo caso la 7.“ maggior quasi uno sforzo disperato, nel secondo da. e una caduta. la (>.“ o 5.® retrograda è uno sfinimento, A convincersi maggiormente che la o.® è espression d’energia quando dista due toni dalla tonica, e viceversa quando non ascende che di un tono e mezzo, basta riflettere quanto sia faticoso al sentimento 10 ascendere, senza il sostegno dell’armonia, per toni consecutivi oltre la medesima terza. Ognuno che abbia notizia del canto fermo, o del risorgimento della musica dai tempi in cui Gregorio Magno si applicò a riformare il canto ecclesiastico, può ricordare l’invenzione del bemolle all’oggetto di evitare fra la lèttera F (fa) e la lettera B il tritono, come ancora usasi oggidì nelle antifone. Il quale B chiamavasi durò quando a confronto della F formava 11 tritono, per la fatica appunto che costava ad intuonarlo, onde la denominazione dei toni conservata dai tedeschi di cui già si fece cenno. Infatti dopo il tritono, sia che si prenda per grado, sia per salto, è talmente difficile ascendere ancora di un tono intiero, che anche col sostegno deifi armonia se ne risente lo sforzo, richiedendo invece quasi irresistibilmente il riposo sul successivo semitono. Che se il ditono non costa egual fatica, il trovare gradito il riposo del successivo semitono dimostra abbastanza che è necessario un tal qual grado di forza per intuonarlo, e questa medesima forza ne costituisce il vero carattere. VII. Queste osservazioni ci fanno conoscere il perchè tanto i greci antichi quanto tutti i popoli che non accoppiarono l’armonia al canto non conobbero punto il tono maggiore o non se ne servirono punto nella pratica. Non sostenuti, e parimente non costretti dall’accoppiamento de’ suoni diversi, e dai contrasti che ne derivano. evitarono gli intervalli del ditono e del tritono sia partendosi dalla tonica che dalla 4.® e 5.® e crearono tutte le loro melodie e canti nazionali su tale scala che perfettamente rassomiglia al nostro tono minore. Vario fu il ritmo, varia la modulazione, vario il diapason, ma un solo il tono, e sempre minore, come possiamo riconoscerlo nei canti nazionali più antichi dei nostri montanari. Per la qual cosa il tono minore che, partendo dalle teorie fondate sulle, parti i aliquote del corpo sonoro, e sul fenomeno degli armonici, sembra essere creazione dell’arte, scorgesi chiaramente essere opera della natura riguardando alla facile successione melodica. Nè altrimenti ci apparila, riguardandolo da un punto più alto, il sentimento. M." II. Umiche; on. (Sa; à continuato ).
LA MUSICA SACRA IN ITALIA
Lettera quarta del signor Fétis intorno alla musica in Italia; al Direttore della Gazette musicale di Parigi.
(Continuazione e fine; Vedi il N. 18 di questa Gazzetta).
Giunto che fui a Roma mi venne fatto alfine di sentire della musica di chiesa, e fu la prima volta presso i Gesuiti; ma, oh Dio! qual divenni io ascoltando ciò che si possa immaginare di più male scritto? E notate che altra musica migliore non sarebbe accetta, perchè, mentre io ascoltando mostrava dispiacere e meraviglia, mi fu detto da qualche romano che qualunque musico proponesse a’ P. P. della compagnia di Gesù di comporre una musica veramente religiosa sarebbe male accolto, nella capitale del mondo cristiano. Io aveva già più volte veduto l’abbate Baini ma non m’avea punto fatto sperare di poter trovare qualcosa di buono in fatto di musica religiosa: «Nulla più ci rimane, «mi diceva egli, non abbiamo più cauli tori, nè compositori, nè scuole: tutto è «in rovina, tutto è perduto. Non abbiam «modo di sostituire nuove voci a quelle “ che andiamo perdendo: e trovassimo pure «delle voci, clic non troveremmo per ciò «l’istruzione, quella istruzione che fu un «tempo affidata a tutti i cantori apostoli lici. Ogni anno veggo scemarsi il noti stro numero, e non andrà molto, che non «ci sarà più modo di eseguire le opere «di Palestrina». Dopo la cappella pontificale molto mi premeva di sentire le cappelle di San Pietro in Vaticano, di Santa Maria Maggiore, e di San Giovanni in Laterano, sovvenendomi della loro antica rinomanza. Dopo la morte di Fioravanti, la prima è passata sotto la direzione di Basily. il quale per questo posto rinunciò a quello di direttore del Conservatorio di Milano. Costui è un vecchio romano, un artista della grande scuola. Egli uscendo della scuola di Jaunaconi. ancor giovane ottenne il posto di maestro di Cappella a Foligno, e con plauso scrisse pei teatri di Roma, Firenze, Venezia, e Milano. Molto furono stimate fra le sue Opere, la Bella incognita, l’ira d’Achille, e l’orfana Egiziana; e un capolavoro è stato giudicato il suo Oratorio il Sansone. Ma quantunque egli non sia conosciuto che dagli artisti. Basily è da mettersi al pari de’più distinti musicanti italiani. e ciò per le sue composizioni da chiesa. Si hanno di suo più di venti messe, dei versetti, de’salmi, e delle altre composizioni, fra le quali si vuol dare la preminenza alla bella messa di Requiem che egli fece eseguire l’anno -1816 pel funerale di Jaunacofii, nella chiesa dei dodici Apostoli. Dopo Foligno, egli fu maestro di cappella a Macerata, e alla Santa Casa di Loreto, poscia fu sposo ad 1 una ricca donna dalla quale ebbe sei figliuoli. La sua nuova fortuna gli fece abbandonare la professione d’artista,
(Se&He il SupplesmesiltoJ.