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n*c,l’c di sapere in complesso quanto si debba cantare,
c troppo essendo importante per la buona cconomia
dell’insieme che il compositore tenga calcolo
delle singole parti affine di conoscere l’intera durata
q del suo spartito: questa cognizione gli servirà ad
evitare la noja delle opere troppo lunghe (7).
Ora, ogni tempo così misurato, è chiaro che lo
studioso non pulì progredire d’un passo senza avvedersi
delle alterazioni che gli accadesse di fare; e divien
quindi chiaramente impossibile ciò che il nostro
amico ha supposto, cioè che ove alla fine d un pezzo
si (rovi aver durato, per esempio, due minuti di più
o di meno del tempo indicato dall’autore, bisognerà
tornar da capo e ripartire (pici sopravanzo o la deficienza
sull’intero pezzo o sull’intera porzione del
medesimo tassata in minuti. - Quella volta che lo studioso
si proporrà di ben rilevare i movimenti d un
i brano di musica, non deve incominciare e proseguire
d’un trailo sino alla fine, ma dovrà ritornare due,
tre volle su quel medesimo canto infìn che 1 abbia
al giusto colpito: il suo inoltrarsi non sara se non
dopo essersi assicuralo del tratto percorso. Quando
in simil guisa avrà ben ravvisato la movenza dei cantabili
e ne avrà impressionata la mente, l’imagine, come
già dissi, vi si manterrà, cd i suoi cauli dal più al
meno saranno sempre conformi. Replico che ciò che
importa di far conoscere, e ciò che finora non si è
potuto conoscere, è l’intenzione dell’autore: «piando
ciò s’arrivi ad ottenere coi parziali esperimenti, l’insieme
risulterà, se non sempre vicino, alincn sicuramente
poco discosto dalla precisione.
Sono certo che a questo punto alcuno vorrà dirmi:
urna voi, almeno per un giorno, volete dar da fare ai
poveri cantanti, se per ogni tempo li volete far guardare
quattro, sei volte f orologio».
A questo rispondo io molle cose. Prima di tutto,
che il disagio, come si vede, non è di tale natura
da sacrificarli sicuramente: secondo, che avendo essi
troppo interesse a guadagnarsi i suffragi del pubblico,
saranno ben lieti di avere un mezzo con cui accertarsi
del vero andamento dei cantabili, e quindi se ne
serviranno assai volentieri: terzo, che le prove e riprove,
come ho già detto, dovendo essi farle egualmente, intanto che impareranno il tempo, impareranno
anche le parole e le note, quindi il disagio diverrà
precisamente zero: quarto, che ove pur fosse
alcun che, i virtuosi sono di giorno sì poco occupati, che è ottima cosa abbiano un motivo di più
per garantirsi dalla noja del far nulla; essi sono altronde
sì largamente pagali che possono benissimo
adattarsi a guardar qualche voila di più f orologio.
Finalmente è da notarsi che ciò che si cerca non è
di risparmiare la fatica ai cantanti, ma di trovar un
mezzo con che impedire che i tempi della musica
siano come sono malconci: il mezzo vi riesce, dunque
è da adottarsi; chi avrà da fare ci penserà. Ciò che
importa si è che i maestri abbiano il compenso di sentire
le loro creazioni assai meglio eseguite; il pubblico di
divertirsi quando prima sarcbbcsi annpjato. 1 soli maestri, i quali dovranno impiegare una manina almeno
a segnare i minuti di lutti i loro cantabili, son quelli
che potrebbero pur dire qualche cosa c tirarsi indietro;
ma «piando «piesto valga a giovare al buon esito
dei loro parti, il compenso è troppo grandemente supcriore
all’incomodo per volerlo trascurare.
Dunque che si ha da conchiudcrc?...
Ma, l’onore della conclusione lo lascio volentieri a lei,
erudito signor maestro. Io prima di terminare debbo
appianare un altro dubbio che rilevo dalle osservazioni
del nostro Nicolò Eustachio: quello cioè del
modo di lasciare i neccssarj arbitrj al filarmonico in
1 quelle parti in cui la qualità della frase melodica o la
qualità dell’espressione drammatica richieggo un rallentando
o uno strìngendo che alteri il normale andamento.
Poche parole levano questo dubbio. Siccome il
maestro che calco’a i minuti li desume eseguendo la
musica come dev’essere eseguita, e quindi tenendo
conto del rallentare ed affrettare che accenna, in
L quelle cifre ch’egli segnerà sarà di ragione conlcmpiato
tutto quello spazio d’arbitrio che il cantante doSd
vrà indovinare. Questi non avrà che una mira: quella
di andare a tempo, di allargarlo, ’di stringerlo in
■ quei luoghi che vuole il maestro e poi di giungere
sull’ultima nota trovando di avere speso quei minuti
che vedrà numerali. Se malgrado ciò egli non raggiungesse
precisamente f idea creatrice, le differenze
saran sì minime che non importa tenerne caso: noi
delle piccole cose non ci curiamo, perché non son
esse che fanno ì grandi mali.
A queste Ìntime considerazioni io aveva appoggiato
il mio pensiero. Non ho potuto svilupparlo nel primo
articolo, perchè mi avrebbe portato a soverchia diffusione.
Io non poteva allora che accennarlo come
feci, trattenendo in me le ragioni su cui era fondato,
certo altronde che non mi sarebbe mancato occasione
«li farlo più chiaro al primo caso di discussione. Ora
credo avervi supplito, e credo altresì aver adeguatamente
corrisposto ai «piesili dell’amico Cattaneo, che
I ringrazio insieme con lei della briga datasi di perdere
il capo intorno a ciò che non era «die un embrione,
i Se crederà di farmi nuove obbiezioni con quella eorI
tesia e con «pici senno che gli è proprio le aggraI
dirò di buon animo. Intanto attendo con impazienza
di conoscere il nuovo di Lei giudizio, sig. maestro;
qualunque sia per essere mi sarà sempre grato
come il linguaggio delia verità. Per me, che pur
| riteneva aver avuto un’idea razionale immaginando
il proposto ritrovamento, non amo «die di convincere
e d’essere convinto. S’io non ho fatta bene la mia
parlo, ella non mancherà di fare la sua.
Assicurandola di tutta la mia stima mi dico
j Di Lei Deditissimo
G. Vitali.
NOTE.
(1) Ho osservato che le più grandi alterazioni dei
j tempi accadono in quelle opere che gli artisti non
hanno udito da nessuno. Un cantatile costretto a imparare
un nuovo spartito soltanto sulla sua particella
I è allora clic commette i maggiori guasti nei movimenti.
Se invece egli n’ebbe un’idea da altri, la sua
। mente conserva una traccia delle misure udite, c vi
I si conforma. Pare adunque che una volta avuta contezza
d’una melodia, difficilmente anche un artista
i mediocre se ne dimentica, essendo P andamento una
I qualità inseparabile dal vero carattere del motivo.
I (2). Ho già detto che il maestro Verdi si è propo•
sto valersi del progetto al primo incontro che scriverà
una nuova musica. Credo far bene narrando il: come vi s’inducesse.
Si facevano esercizj di canto una mattina nella casa
di una delle più distinte dilettanti di Milano; c dopo
scorso il nuovo terzetto finale dclI’A’rnanz, i cui movimenti
sono sì concitali, la signora disse al maestro:» Sa, signor Verdi? Jori mi trovai allo stabilimento
Ricordi, ove il maestro N. N. stava provando questo
terzetto, c alle parole l’erma, crudele, estinguere,
invece d’affrettare il tempo come avrebbe dovuto, teneva
un andamento che non era mosso che per metà,
lo gli dissi che dovea esser più del doppio; egli ne
fè le meraviglie c quasi non m’avrebbe credulo». In
quei giorni appunto io aveva incominciato a parlare
del mio progetto co’ mici amici, e lo aveva tra
gli altri comunicalo a quella signora. Allora ella soggiunse:» Vede? se avesse pensalo all’espediente dei
minuti, scommetto che nessuno f avrebbe sbagliato,
mentre così tulli l’Iian preso male». Il maestro Verdi
replicò che quel canto non durava forse un mimilo.»
Ebbene: soggiuns’io allora: all’ultima battuta vi avrei
scritto tre (piarti, poco più». - Si fa esperimento coll’orologio,
si vede che non deve durare in effetto clic
tanto: il maestro Verdi si convince die l’espediente
può essere giovevole, c si propose allora di valersene; alla prima occasione.
(5) Il nostro amico Cattaneo può aver la soddisfazione
della prova scnz’uscir di casa. Scriva egli un
cantabile; ne computi la durala a minuti, indi lo dia a
leggere a’ suoi figli; se alla seconda o terza lettura
non gli marcano il movimento da lui immaginato, io
gli dò vinta la causa. Insisto sulla prova di fatto,
perchè i fatti sono gli oratori più persuadenti che ci
siano.
(-4) Mi convinsi di questa necessità più d’una volta,
c segnatamente l’ultimo carnevale nell’udire al nostro
gran teatro la brava Montenegro, la «piale cantava
il recitativo di questa cavatina sì adagio, massime
alle parole lo nei volumi arcani - Leggo del
del, clic certo il canto risenti vasi assai di un languore,
estraneo affatto al pensiero dell’autore.
(5) In generale di ciò ch’è parte d’orchestra non
vorrei farmi carico se non nei passi più importanti e
nelle sinfonie. Userei della numerazione dei minuti solo
quando ne vedessi l’assoluta necessità. I suonatori d’ordinario
variano i tempi assai meno dei cantanti, e guastano
assai meno.
(6) Di «piesto piccol tratto avrei potuto anche onimettere
l’indicazione, e lasciarne l’interpretazione
alla caillante; ma in un’opera seria poche cose essendo
da non curarsi, ho voluto accennare anche questa ac- Cr«s
ciò serva d’esempio. lî^v
(7) Con buona pace de’ loro grandi autori, Il Gugliclrno
7’cll, la Semiramide, il lloberto il Diavolo,
i Normanni a. Parigi sono lavori troppo lunghi, per
eoi, ad onta delle loro incomparabili bellezze, finiscono
a stancare l’ascoltatore. Su questo argomento della
parsimonia e defili giusta misura, la prego, sig. Boucheron,
di scorrere nuovamente il mio primo articolo,
affine di esternarmi più particolarmente ciò ch’ella
ne pensa.
Nella cortese sua risposta Ella ha espressa I’ opinione
contraria al mio progetto che se avesse a scegliere
di valersi dell orologio non crederebbe opportuno
di dire (pianti minuti dovrebbe durare 1 intero pezzo
di musica od anche solo ogni suo tempo; ma bensì
quanti secondi debba durare un periodo o un piccini
numero di battute, lo avrei molto desiderato che mi
esponesse, alcuna ragione per cui trovava inopportuna
la mia proposta, ma il mio desiderio essendo rimasto
insoddisfatto ho molta fiducia ch’ella vorrà gentilmente
farlo pago un’altra volta. Intanto mi permetto «li osservarli’
die E indicazione dei secondi richiedendo un
orologio apposito avrebbe sul mio progetto lo svantaggio,
olire qualche altro, di obbligare il filarmonico
a provvedere ciò che non ha, il che sarebbe già un
ostacolo all’universale introduzione del mezzo proposto.
Del resto sono dolente, e mi sarei ben guardalo
dal tirarla, come feci, nella noja di questa discussione;
ma il Cattaneo avendola pigliata per una falda dcll’abito,
io per far valere le mie ragioni doveva pigliarla
per l’altra. Altronde ciò che mi preme è il
voto dei maestri che son quelli chi’ devono allottare
la proposta: il suo lo ritengo prevalente a quello di molli,
c credo di aver ragione.
Alcune parole intorno al IUgioxaJIBSTO
BUI-I.A MUNfA JE gWI.LA POKW1A.
niaoniiioHATici italiana secolo
XIX «lei signor maestro Clio,
lìatlisto Hitittccini.
Allorquando uno scritto tende al lodevole, scopo
di porre sul rollo sentiero la gioventù studiosa dell’arte
musicale, è, pure giustizia propalami; il nome
dell’autore cd il merito che ne racchiude.
Animato quindi da questo principio, rendere io debbo
un giusto tributo di lode all’egregio sig. Gio. Rati.
Rinuccini da Camajore, maestro di quella cattedrale,
per avere egli così lodevolmente ragionato sulla musica
e sulla poesia melodranmiatiea-ilaliana del secolo presente; ragionamento che venne testé dato alla luce
«lai tipi Guidoni di Lucca: c per avere egli sì bene!
infioralo il suo scritto di savj precetti e di una non
comune erudizione. Oh! «pianto l’Italia nostra avrebbe
meno a dolersi della sua degenerazione musicale, se
parte, dei suoi figli volesse, una volta ricredersi, e se
dal peculiare carattere della nostra itala Melode, che;
tanto fece salire in fama i Piccini, i Sacchini, i Paisiello, i Cirnarosa, non si allontanasse. Ma tempo }
verrà! Solo spiacemi (c questa sia prova «li mia schiettezza
) che il prefato signor maestro Rinuccini non
abbia citalo, quale eccezione al suo assunto, i nomi
di un Rossini, di Bellini, c di qualche altro, che a
ine sembra a buon drillo meritar potessero di essere
annoverali fra i sommi che onorano il nostro secolo,
e che sì- altamente fecero echeggiare di loro tutto il
mondo incivilito: come Vinci, Leo, Porpora, Pergolesi
vennero oscurali (non già nel melilo c nell’essenza
della composizione, ma nelle forme c nelle va- j
ridà del linguaggio) da.lomelli, Sacchini, Piccini, e
quindi questi da Guglielmi, Paisicllo c Cimarosa.
Dopo questa mia qualunque siasi osservazione, non
cesserò di ripetere le ben meritale lodi al signor Ri-!
miccini, godendomi l’animo di vedere non ancora:
spento nei cultori «lell’arie il sentimento del vero
bello. - Esorto quindi la gioventù studiosa a non occuparsi
soltanto della parte materiale, ma bensì anco
della scientifica, c vorrei pure che altri imitassero le
I dottrine, o almeno leggessero lo scritto del prefalo
signor Rinuccini, che in allora vedrei rispondere di
I nuova luce questa nostra prediletta Italia. ®
G. Pacim. V