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era chiamata melodica; la terza, della forse
impropriamente dinamica, considerava i suoni nei varj lor gradi d’intensità, e nei segni che rappresentano le modificazioni di siffatte intensità. In una quarta divisione, le tre prime si riunivano sotto la denominazione di scienza delle note. Gli allievi erano esercitali sulla concezione simultanea della rappresentazione dei suoni nella loro durata, intonazione e intensità. Qui si trovavano gli esercizj riuniti della lettura e del solfeggio. Una quinta divisione
finalmente era destinala a esercitar gli
scolari nella riunione delle parole col canto. Nell’anno 1810, gli elementi dei lavoro di Pfeiffer furono raccolti, posti in ordine e pubblicati
da Negeli di Zurigo, maestro distintissimo pe’ suoi talenti e per l’originalità del suo
estro; e da quell’epoca in poi, tulle le nazioni più o meno, la tedesca in ispecie, diedero
opera continua a tracciare nuovi sistemi,
a correggere i vecchi, a migliorarli lutti, col plausibile scopo di associare il canto all’istruzion primitiva dei giovanetti dell’uno e dell’altro sesso. L’insegnamento della musica nelle scuole della Germania è dunque generalmente adottalo; non si è pensato ancora, egli è vero, a fondere i varj sistemi d’istruzione in un solo, ma non pochi scrittori asseriscono che la pratica dell’arte è in uno stato fiorente in mezzo a tutte le scuole dell’Alemagna. L’immensa quantità di canti religiosi e profani che sono stati composti, da trent’anni in qua, per uso delle scuole della Germania, hanno grandemente
giovato il successivo progresso del sentimento armonico fra quelle popolazioni, le
cui abitudini dolci e tranquille le riuniscono spesse volle a scioglier le loro voci a canti d’insieme, ora gai e festanti, ora patetici e commoventi. Il movimento dato alla pubblica opinione a favore della musica per gli stabilimenti d’ammaestramento
collettivo fece pur nascere in questi ultimi tempi moltissime opere francesi, e
mise in luce parecchi metodi, il più applaudito de’ quali è, per generale consentimento, quello di Wilhem, direttore della scuola di canto nelle scuole di Parigi, maestro di canto alla politecnica, e professore al collegio già dello di Enrico IV. È ormai fuor di dubbio, che le scuole nelle quali fu ammesso il canto hanno reso eminenti servigi alIa perfezione morale delIa società, e preparala forse l’introduzione della musica nell’istruzione primaria del popolo presso tutte quelle nazioni che non sono schiave del pregiudizio
di muover guerra alle utili novità. In
alcuni nostri istituti di educazione, e negli Asili per l’infanzia, che la pubblica beneficenza ha fondato e fallo prosperare fra noi, gli esercizj del canto sono coltivati con buon successo; e facciam voti, secondo l’intimo nostro
convincimento, che codesti esercizj si rendano
più generali affinchè maggiori se ne possati raccogliere i beneficii ed i frutti. P. L’ultimo concerto di Platel Benchè sia conosciuta in Italia come in Francia l’alta riputazione di Alessandro Balta esimio suonatore di violoncello; benché tutti abbiano udito narrare le meraviglie di Dernunck e di Servais, pochi artisti, anche fra i più celebrali, si ricordano però ancora di Platel, loro comune maestro. Platel, per unanime
voce di tutti i suoi allievi, fu il più
gran professore che abbia tenuto fra le sue agili dita il manubrio di un violoncello. Rapportando un aneddoto che si riferisce agli ultimi istanti dell’intemerata sua vita, mi gode l’animo di onorar la memoria di due suonatori distintissimi, uno de’ quali appartiene
alla nostra nazione.
Platel abitava a Bruxelles in una bettola la cui insegna portava scritto: A Za Lunette. Già da parecchi anni egli era travaglialo da una malattia di languore che sordamente struggevano, ed a cui poco a poco si aggiunsero tutte le infermità della vecchiaja. Questa malattia
aveva preso improvvisamente un aspetto
sì spaventevole, e progredito con tanta violenza, che i medici disperavano ormai di poter
prolungare l’esistenza del pover uomo.
Uno de’suoi allievi, Alessandro Batta, erasi recato a Bruxelles per passarvi alcuni giorni, e per riposarsi colà delle sue fatiche, all’ombra degli allori raccolti in abbondanza a Parigi. Riconoscente verso il professore al quale andava debitore di tante e sì felici riuscite, propose a sè stesso di fare una visita a Platel; e seguendo tosto questo primo impulso, invitò un amico, artista esso pure, ad accompagnarlo. Questi accettò la proposta con animo lieto, ed ecco i due compagni in cammino verso la casa dell’esimio suonatore di violoncello. L’abitazione di lui consisteva in una camera
di mezzana grandezza, le cui pareti nude
ed annerite annunziavano la miseria. Una tavola
di quercia, alcune seggiole di paglia, rotte
dal lungo uso, e un cattivo letto circondalo da vecchie cortine, traverso le cui fessure passavano
i raggi di un sole cocente, tale era
il men che modesto albergo di cotesl’uomo di genio sul quale l’Europa intiera aveva spalancati
per ammirazione i suoi occhi.
Quando i due amici entrarono nella suede-scritta
stanzuccia, Platel era a letto. Dopo un
giorno di continui patimenti, la fatica aveva prevalso sul male, ed egli erasi addormentato; sulla sua faccia peraltro si pingevano ben chiare
e pronunziate le traccie dei sofferti dolori.
Una donna seduta al suo capezzale stava in profondo silenzio, e coll’occhio immobile sull’ammalato aspettava pazientemente il momento in cui ne chiedesse l’assistenza, le tenere sollecitudini. Al fruscio de’ passi dei due sopraggiunti, platel si riscosse all’improvviso dal sonno, guardò fiso per qualche istante il suo vecchio allievo senza riconoscerlo, indi ricordatine i lineamenti: — Batta! gridò con trasporto, stringendolo fra le sue braccia: amico generoso e riconoscente, tu non imiti tanti altri tuoi compagni che hanno affatto dimenticalo il vecchio Platel! tu vieni a consolarmi d’una tua visita, tu!... te ne ringrazio di cuore, poiché temevo
di morire senza potermi accommiatare
da te!... — Mio buon Platel, rispose il giovane suonatore, non potrò mai scordare che son debitore
a te solo de’miei progressi, del nome
mio. oh, io non so esprimere con vane ed istudiate parole la mia gratitudine, ma la sento tutta nel cuore. — Dimmi, ripigliò il vecchio indicando a
dito Lousy, chi è questo sconosciuto?
— Si chiama Lousy; è un mio intimo
amico del quale mi son cattivato l’affezione
nelle sale più distinte di Parigi; egli è artista... — Artista!... in questo caso, signore, siate il ben venuto! - e così dicendo stese la mano a Lousy, che glie la strinse con trasporto. Un artista, continuò l’ammalato, quanto mi fa piacere! suonator disgraziato, e da molto tempo abbandonato da tutto il mondo, io mi richiamo ancora alla mente i miei giorni felici, quando vedo vicino a me uno de’ miei allievi, quando son circondato da uomini di onore e d’ingegno. La conversazione si animò gradatamente, passando sopra varj argomenti. I tre artisti stavano confabulando insieme da un’ora, quando
platel, fattosi improvvisamente pensoso,
esclamò: — Balta, tu hai coltivato la tua arte, non è egli vero? ebben, io pure ho lavorato alla mia volta; io pure ho composto un pezzo di musica istrumentale, e vi ho già dato gli ultimi
tocchi. Nessuno il sa, nessuno ne ha penetrato il secreto, perocché è in questo luogo,
su questo miserabile letto che Platel ha scritto il suo ultimo concerto. Sollevato allora a stento il capo tremante, trasse di sotto l’origliere uno scartafaccio annerito, mostrandolo a Batta ed a Lousy. — Eccola, ei disse, ecco l’opera alla quale ho consacrato tante veglie; ma nessun altro, fuori di voi due, la udrà prima delIa mia morte! 0h, ve Io giuro! E tostamente, animato da un ardor naturale, si alzò, si fece recare lo scannello e il violoncello, e percorrendone coll’arco le corde, ne trasse suoni deboli si, ma che parlavano all’anima. I due amici non poterono contenere la loro emozione all’aspetto di quell’uomo a cui più non restava oramai che un debol soffio di vita, e i cui lineamenti, malgrado ciò, ad ogni nota animavansi, mentre sotto l’inspirazione de’ suoi melodiosi accordi gli scintillava ancora negli occhi una celestiale espressione. Siffatti suoni potevano, è vero, giungere appena agli orecchi, imperocché era già molto che l’arco, guidato dalla mano affievolita del vecchio, sfiorasse le corde; ma l’ingegno del grande artista suppliva a lutto, e il sentimento da Iui spiegato nel canto finale fece piangere di dolore i due giovani, prevedendo forse che, poche ore dopo, platel non sarebbe più che. un cadavere! Sugli occhi del suonatore spuntò pure una lagrima in quel momento supremo; ma per lui le lacrime, erano indizio di gioja. Strinse con trasporto al suo cuore Batta e Lousy, indi siedendo sul letticello: — Miei buoni amici, egli disse, ho questo trionfo per il più bello della mia vita; ma sarà l’estremo!... Le varie sensazioni alle quali platel eia stato in preda in questa circostanza prostrarono siffattamente
le forze di lui, che cadde in uno
stato di grande abbattimento; ne consegui una crisi funesta a cui l’artista non potè resistere; l’infelice vi soccombette! All’indomani, quando i due artisti si presentarono
alla stanza di platel, non trovarono
che lagrime e disperazione. La stanzuccia dell’ammalato aveva tutt’altro aspetto di prima; le finestre erano aperte, e una candela benedelta ardeva vicino al Ietto; il volto di Platel era coperto d’uno strato mortuario; e una donna inginocchiatagli da presso pregava con fervore, asciugandosi ad ogni tratto con mano tremante le lagrime che le scorrevano giù per le pallide gote. platel non era più, e il suo concerto era
morto con lui! P.