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CANTO QUARTO. 109

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XLVII.


  Ora il mio buon custode ad uom sì degno
Unirmi in matrimonio in se prefisse;
E farlo del mio letto e del mio regno
372Consorte; e chiaro a me più volte il disse.
Usò la lingua e l’arte, usò l’ingegno,
Perchè ’l bramato effetto indi seguisse:
Ma promessa da me non trasse mai;
376Anzi ritrosa ognor tacqui, o negai.

XLVIII.


  Partissi alfin con un sembiante oscuro,
Onde l’empio suo cor chiaro trasparve.
E ben l’istoria del mio mal futuro
380Leggergli scritta in fronte allor mi parve;
Quinci i notturni miei riposi furo
Turbati ognor da strani sogni e larve:
Ed un fatale orror nell’alma impresso,
384M’era presagio de’ miei danni espresso.

XLIX.


  Spesso l’ombra materna a me s’offria,
Pallida imago, e dolorosa in atto;
Quanto diversa, oimè, da quel che pria
388Visto altrove il suo volto avea ritratto.
Fuggi, figlia, dicea, morte sì ria
Che ti sovrasta omai, partiti ratto.
Già veggio il tosco e ’l ferro in tuo sol danno
392Apparecchiar dal perfido Tiranno.

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