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118 | LA GERUSALEMME |
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LXXIV.
Quì tacque; e parve ch’un regale sdegno
E generoso l’accendesse in vista:
E ’l piè volgendo, di partir fea segno,
588Tutta negli atti dispettosa e trista.
Il pianto si spargea senza ritegno,
Com’ira suol produrlo a dolor mista:
E le nascenti lagrime, a vederle,
592Erano a’ rai del Sol cristalli e perle.
LXXV.
Le guance asperse di que’ vivi umori,
Che giù cadean sin della veste al lembo,
Parean vermiglj insieme, e bianchi fiori;
596Se pur gl’irriga un rugiadoso nembo,
Quando su l’apparir de’ primi albóri
Spiegano all’aure liete il chiuso grembo:
E l’alba che gli mira, e se n’appaga,
600D’adornarsene il crin diventa vaga.
LXXVI.
Ma il chiaro umor, che di sì spesse stille
Le belle gote e ’l seno adorno rende,
Opra effetto di foco, il qual in mille
604Petti serpe celato, e vi s’apprende.
O miracol d’Amor, che le faville
Tragge del pianto, e i cor nell’acqua accende!
Sempre sovra natura egli ha possanza;
608Ma in virtù di costei se stesso avanza.