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CANTO QUINTO. 133

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XVII.


  Ma il barbaro Signor, che sol misura
Quanto l’oro, e ’l dominio oltre si stenda,
E per se stima ogni virtute oscura,
132Cui titolo regal chiara non renda;
Non può soffrir, che in ciò ch’egli procura,
Seco di merto il cavalier contenda:
E se ne cruccia sì, ch’oltra ogni segno
136Di ragione il trasporta ira e disdegno.

XVIII.


  Talchè ’l maligno spirito d’Averno,
Ch’in lui strada sì larga aprir si vede,
Tacito in sen gli serpe, ed al governo
140De’ suoi pensieri lusingando siede:
E quì più sempre l’ira, e l’odio interno
Inacerbisce, e ’l cor stimola e fiede:
E fa che ’n mezzo all’alma ognor risuoni
144Una voce ch’a lui così ragioni:

XIX.


  Teco giostra Rinaldo; or tanto vale
Quel suo numero van d’antichi eroi?
Narri costui, ch’a te vuol farsi eguale,
148Le genti serve, e i tributarj suoi:
Mostri gli scettri, e in dignità regale
Paragoni i suoi morti ai vivi tuoi.
Ah quanto osa un signor d’indegno stato,
152Signor, che nella serva Italia è nato!

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