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CANTO QUINTO. 135

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XXIII.


  Al suon di queste voci arde lo sdegno,
E cresce in lui quasi commossa face:
Nè capendo nel cor gonfiato e pregno,
180Per gli occhj n’esce, e per la lingua audace.
Ciò che di riprensibile e d’indegno
Crede in Rinaldo, a suo disnor, non tace:
Superbo e vano il finge, e ’l suo valore
184Chiama temerità pazza e furore.

XXIV.


  E quanto di magnanimo, e d’altero,
E d’eccelso, e d’illustre in lui risplende,
Tutto (adombrando con mal’arti il vero)
188Pur, come vizio sia, biasma e riprende:
E ne ragiona sì, che ’l cavaliero
Emulo suo, pubblico il suon n’intende.
Non però sfoga l’ira, o si raffrena
192Quel cieco impeto in lui, ch’a morte il mena.

XXV.


  Chè ’l reo demon, che la sua lingua move
Di spirto in vece, e forma ogni suo detto,
Fa che gl’ingiusti oltraggj ognor rinnove,
196Esca aggiungendo all’infiammato petto.
Loco è nel campo assai capace, dove
S’aduna sempre un bel drappello eletto;
E quivi insieme, in torneamenti e in lotte,
200Rendon le membra vigorose e dotte.

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