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CANTO QUINTO. | 139 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gerusalemme liberata I.djvu{{padleft:161|3|0]]
XXXV.
Onde, per tal cagion, discordie e risse
Germoglieran fra quella parte e questa:
Rammentò i merti dell’estinto, e disse
276Tutto ciò, ch’o pietate, o sdegno desta.
Ma s’oppose Tancredi, e contradisse,
E la causa del reo dipinse onesta.
Goffredo ascolta, e in rigida sembianza
280Porge più di timor, che di speranza.
XXXVI.
Soggiunse allor Tancredi: or ti sovvegna,
Saggio Signor, chi sia Rinaldo, e quale:
Qual per se stesso onor gli si convegna,
284E per la stirpe sua chiara e regale,
E per Guelfo suo zio: non dee chi regna,
Nel castigo, con tutti esser eguale.
Vario è l’istesso error ne’ gradi varj:
288E sol l’egualità giusta è co’ pari.
XXXVII.
Risponde il Capitan: da i più sublimi
Ad ubbidire imparino i più bassi.
Mal, Tancredi, consigli, e male stimi,
292Se vuoi che i grandi in sua licenza io lassi.
Qual fora imperio il mio, s’a’vili ed imi,
Sol Duce della plebe, io comandassi?
Scettro impotente, e vergognoso impero;
296Se con tal legge è dato, io più nol chero.