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148 | LA GERUSALEMME |
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LXII.
Invan cerca invaghirlo, e con mortali
Dolcezze attrarlo all’amorosa vita:
Chè qual satúro augel, che non si cali
492Ove, il cibo mostrando, altri l’invita;
Tal ei, sazio del mondo, i piacer frali
Sprezza, e sen poggia al ciel per via romita;
E quante insidie al suo bel volo tende
496L’infido Amor, tutte fallaci rende.
LXIII.
Nè impedimento alcun torcer dall’orme
Puote, che Dio ne segna, i pensier santi.
Tentò ella mill’arti, e in mille forme,
500Quasi Proteo novel, gli apparve innanti:
E desto Amor, dove più freddo ei dorme,
Avrian gli atti dolcissimi, e i sembianti;
Ma quì (grazie divine) ogni sua prova
504Vana riesce, e ritentar non giova.
LXIV.
La bella donna, ch’ogni cor più casto
Arder credeva ad un girar di ciglia,
Oh come perde or l’alterezza e ’l fasto,
508E quale ha di ciò sdegno, e maraviglia!
Rivolger le sue forze ove contrasto
Men duro trovi, alfin si riconsiglia:
Qual capitan ch’inespugnabil terra
512Stanco abbandoni, e porti altrove guerra.