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CANTO QUINTO. | 151 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gerusalemme liberata I.djvu{{padleft:173|3|0]]
LXXI.
E in tal modo comparte i detti sui,
E ’l guardo lusinghiero, e ’l dolce riso,
Ch’alcun non è che non invídi altrui:
564Nè il timor dalla speme è in lor diviso.
La folle turba de gli amanti, a cui
Stimolo è l’arte d’un fallace viso,
Senza fren corre, e non gli tien vergogna,
568E loro indarno il Capitan rampogna.
LXXII.
Ei ch’egualmente satisfar desira
Ciascuna delle parti, e in nulla pende;
Sebben alquanto or di vergogna, or d’ira
572Al vaneggiar de’ cavalier s’accende;
Poich’ostinati in quel desio li mira,
Novo consiglio in accordarli prende.
Scrivansi i vostri nomi, ed in un vaso
576Pongansi, disse, e sia giudice il caso.
LXXIII.
Subito il nome di ciascun si scrisse,
E in picciol’urna posti e scossi foro,
E tratti a sorte: e ’l primo che n’uscisse
580Fu il Conte di Pembrozia Artemidoro.
Legger poi di Gherardo il nome udisse:
Ed uscì Vincilao dopo costoro:
Vincilao, che sì grave e saggio innante,
584Canuto or pargoleggia e vecchio amante.