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170 | LA GERUSALEMME |
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XXXII.
Cade il Cristiano; e ben è il colpo acerbo,
Posciach’avvien che dall’arcion lo svella.
Ma il Pagan di più forza, e di più nerbo
252Non cade già, nè pur si torce in sella.
Indi con dispettoso atto superbo
Sovra il caduto cavalier favella:
Renditi vinto, e per tua gloria basti
256Che dir potrai, che contra me pugnasti.
XXXIII.
No, gli risponde Otton, fra noi non s’usa
Così tosto depor l’arme, e l’ardire.
Altri del mio cader farà la scusa;
260Io vuò far la vendetta, o quì morire.
In sembianza d’Aletto, e di Medusa
Freme il Circasso, e par che fiamma spire.
Conosci or, dice, il mio valore a prova,
264Poichè la cortesia sprezzar ti giova.
XXXIV.
Spinge il destrier in questo, e tutto oblia
Quanto virtù cavalleresca chiede.
Fugge il Franco l’incontro, e si desvia,
268E ’l destro fianco nel passar gli fiede:
Ed è sì grave la percossa e ria,
Che ’l ferro sanguinoso indi ne riede.
Ma che pro, se la piaga al vincitore
272Forza non toglie, e giunge ira e furore?