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CANTO SESTO. 171

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XXXV.


  Argante il corridor dal corso affrena,
E indietro il volge; e così tosto è volto,
Che se n’accorge il suo nemico appena,
276E d’un grand’urto all’improviso è colto.
Tremar le gambe, indebolir la lena,
Sbigottir l’alma, e impallidire il volto
Gli fè l’aspra percossa; e frale e stanco
280Sovra il duro terren battere il fianco.

XXXVI.


  Nell’ira Argante infellonisce, e strada
Sovra il petto del vinto al destrier face.
E così, grida, ogni superbo vada
284Come costui che sotto i piè mi giace.
Ma l’invitto Tancredi allor non bada;
Chè l’atto crudelissimo gli spiace:
E vuol che ’l suo valor con chiara emenda
288Copra il suo fallo, e, come suol, risplenda.

XXXVII.


  Fassi innanzi gridando: anima vile,
Che ancor nelle vittorie infame sei:
Qual titolo di laude alto, e gentile
292Da modi attendi sì scortesi e rei?
Fra i ladroni d’Arabia, o fra simíle
Barbara turba avezzo esser tu dei.
Fuggi la luce, e và con l’altre belve
296A incrudelir ne’ monti, e tra le selve.

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