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CANTO SESTO. | 181 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gerusalemme liberata I.djvu{{padleft:205|3|0]]
LXV.
Con orribile imago il suo pensiero
Ad or ad or la turba e la sgomenta:
E via più che la morte il sonno è fiero;
516Sì strane larve il sogno le appresenta.
Parle veder l’amato cavaliero
Lacero e sanguinoso: e par che senta
Ch’egli aita le chieda: e desta intanto,
520Si trova gli occhj e ’l sen molle di pianto.
LXVI.
Nè sol la tema di futuro danno
Con sollecito moto il cor le scuote;
Ma delle piaghe, ch’egli avea, l’affanno
524È cagion che quetar l’alma non puote.
E i fallaci romor, ch’intorno vanno,
Crescon le cose incognite e remote:
Sicch’ella avvisa, che vicino a morte
528Giaccia oppresso languendo il guerrier forte.
LXVII.
E perocch’ella dalla madre apprese
Qual più secreta sia virtù dell’erbe:
E con quai carmi nelle membra offese
532Sani ogni piaga, e ’l duol si disacerbe:
Arte, che per usanza in quel paese
Nelle figlie de’ Re par che si serbe;
Vorria, di sua man propria, alle ferute
536Del suo caro signor recar salute.