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CANTO SETTIMO. 203

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XI.


  Chè poco è il desiderio, e poco è il nostro
Bisogno, onde la vita si conservi.
Son figlj miei questi ch’addíto e mostro
84Custodi della mandra, e non ho servi.
Così men vivo in solitario chiostro,
Saltar veggendo i capri snelli e i cervi,
Ed i pesci guizzar di questo fiume,
88E spiegar gli augelletti al ciel le piume.

XII.


  Tempo già fu, quando più l’uom vaneggia
Nell’età prima, ch’ebbi altro desio,
E disdegnai di pasturar la greggia,
92E fuggii dal paese a me natío:
E vissi in Menfi un tempo, e nella reggia
Fra i ministri del Re fui posto anch’io:
E benchè fossi guardian degli orti,
96Vidi, e conobbi pur le inique corti.

XIII.


  E lusingato da speranza ardita,
Soffrii lunga stagion ciò che più spiace.
Ma poi ch’insieme con l’età fiorita
100Mancò la speme, e la baldanza audace;
Piansi i riposi di quest’umil vita,
E sospirai la mia perduta pace:
E dissi: o corte, addio. Così agli amici
104Boschi tornando, ho tratto i dì felici.

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