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CANTO SETTIMO. 207

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XXIII.


  Egli, seguendo le vestigia impresse,
Rivolse il corso alla selva vicina.
Ma quivi dalle piante orride e spesse
180Nera e folta così l’ombra dechina;
Che più non può raffigurar tra esse
L’orme novelle, e ’n dubbio oltre cammina,
Porgendo intorno pur l’orecchie intente,
184Se calpestío, se romor d’armi sente.

XXIV.


  E se pur la notturna aura percuote
Tenera fronde mai d’olmo o di faggio:
O se fera od augello un ramo scuote;
188Tosto a quel picciol suon drizza il viaggio.
Esce alfin della selva, e per ignote
Strade il conduce dela Luna il raggio
Verso un romor che di lontano udiva,
192Insin che giunse al loco ond’egli usciva.

XXV.


  Giunse dove sorgean da vivo sasso
In molta copia chiare e lucide onde:
E fattosene un rio volgeva abbasso
196Lo strepitoso piè tra verdi sponde.
Quivi egli ferma addolorato il passo,
E chiama, e solo ai gridi Eco risponde:
E vede intanto con serene ciglia
200Sorger l’aurora candida e vermiglia.

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