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CANTO SETTIMO. 211

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XXXV.


  Turbossi, udendo il glorioso nome,
L’empio guerriero, e scolorissi in viso.
Pur celando il timor, gli disse: or come,
276Misero, vieni ove rimanga ucciso?
Quì saran le tue forze oppresse e dome,
E questo altero tuo capo reciso:
E manderollo ai Duci Franchi in dono,
280S’altro da quel che soglio oggi non sono.

XXXVI.


  Così dice il Pagano; e perchè il giorno
Spento era omai, sì che vedeasi appena;
Apparir tante lampade d’intorno,
284Che ne fu l’aria lucida e serena.
Splende il castel, come in teatro adorno
Suol fra notturne pompe altera scena:
Ed in eccelsa parte Armida siede,
288Onde, senz’esser vista, ed ode e vede.

XXXVII.


  Il magnanimo eroe frattanto appresta
Alla fera tenzon l’arme e l’ardire:
Nè sul debil cavallo assiso resta,
292Già veggendo il nemico a piè venire.
Vien chiuso nello scudo, e l’elmo ha in testa,
La spada nuda, e in atto è di ferire.
Gli move incontra il Principe feroce
296Con occhi torvi, e con terribil voce.

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